
ROMA (ITALPRESS) – La trattativa per una pace in Ucraina “la vedo da sempre più difficile di quello che si crede, per una ragione semplice: Putin ha messo in campo un’aggressione, vuole i territori che ha già annesso. In una trattativa puoi anche decidere di ritirarti, ma se annetti dici ‘questo è mio’ e non se ne parla più. Naturalmente questo vede per ora una resistenza molto forte da parte dell’Ucraina, che non capisce perché dopo essere stata aggredita deve anche andare a trattare una pace in cui perde un pezzo del suo territorio. La rivendicazione territoriale per Putin è irrinunciabile, ma anche per gli altri è complicato”. Lo ha detto Piero Fassino, vicepresidente della Commissione di Difesa della Camera e presidente del comitato Medio Oriente presso il Consiglio d’Europa, intervistato da Claudio Brachino per la rubrica “Primo Piano” dell’agenzia Italpress.
“È chiaro che il tempo lavora di più per Putin, per ragioni anche solo dimensionali: non dimentichiamo che in tutte le guerre la Russia ha vinto grazie al decorrere del tempo, perché la forza che esprime – pensiamo soltanto al numero di soldati che è in grado di mettere in campo – è tale per cui può resistere e può andare avanti in un tempo lungo”, ma “si sottovaluta che, nell’opinione pubblica russa, c’è un segmento che conta”, rappresentato dalle madri dei caduti che “sono tanti, più di 100mila: comincia ad esserci un movimento di pressione delle famiglie per dire basta”.
Invece gli ucraini, “proprio perché in termini di rapporti di forza sono più deboli, tendono ad accelerare i tempi per arrivare ad un accordo, consapevoli anche che l’accordo non è semplice. Gli ucraini dicono ‘cessate il fuoco, poi vediamo’. Putin dice ‘no al cessate il fuoco, accordo subito’, perché cessate il fuoco congela una situazione e rinvia la definizione della territorialità. La vedo molto complicata, molto difficile”. A un certo punto gli americani, non riuscendo a sbloccare la trattativa potrebbero dire all’Europa che è un problema suo. “Questo rischio c’è, anche se è un rischio che non ha conseguenze anche per gli americani”. Per Fassino, Putin “tende ad ignorare l’Europa, ma questa guerra si svolge in Europa e lo stesso Trump che all’inizio” voleva escluderla “ha dovuto ammettere che l’accordo che si farà dovrà essere garantito dall’Europa nei suoi aspetti di sicurezza. Il tema dell’Europa c’è”, ma “muovere in modo organico tutti e 27 paesi dell’Unione Europea su una linea non era realistico”, per questo si è fatta avanti la coalizione dei Volenterosi.
“Che ci sia anche la Gran Bretagna è importante, perché anche se non è membro dell’Unione Europea, è un Paese fondamentale dal punto di vista militare, perchè è l’unico insieme alla Francia che possiede armamenti nucleari ed è membro del Consiglio di Sicurezza”. Che cosa dovranno fare? “Dipende se ci sarà la pace e quale pace: ho trovato imprudente e un po’ surreale la posizione della nostra Presidente del Consiglio che ha detto, a priori, che non mandiamo soldati. Io dico dipende, perché se bisogna andare a fare una guerra, è chiaro che ha un senso. Ma se per caso si fa un accordo di pace, che va garantito con una presenza internazionale esattamente come con i Caschi blu in Libano o in Bosnia, non capisco perché non possiamo essere anche in Ucraina”. Fin dall’inizio Meloni “ha avuto un atteggiamento infastidito, reticente, che non guardava con simpatia a un’azione europea condivisa, perché lei ha coltivato questa idea un po’ velleitaria di avere un rapporto privilegiato con Trump e di essere il ponte tra l’Europa e Trump”, ma “non è che gli altri hanno bisogno della sua mediazione”.
L’errore è “di aver pensato che poteva tirarsi fuori, tanto è vero che dopo non essere andata a Kiev, ha poi partecipato alle telefonate che si sono fatte tra i leader europei e Trump, a dimostrazione del fatto che, se vuoi contare, devi stare lì, non ti tiri fuori”. La disponibilità del Vaticano “è una cosa importante” anche se per ora “Zelensky ha detto di essere disponibile, ma se Putin lo sia non si è ancora capito”. Papa Leone “è un uomo di esperienza molto larga, fin qui si è dimostrato essere attento e prudente, ma netto. Speriamo che la sua determinazione possa contribuire a favorire processi di pace sia in Ucraina che in Medio Oriente”.
Su quanto sta accadendo a Gaza, ricorda Fassino, “all’indomani del massacro del 7 ottobre tutto il mondo ha riconosciuto a Israele un diritto all’autodifesa” ma questo “non può diventare la giustificazione di qualsiasi azione. Bloccare l’inoltro di tutti gli aiuti alimentari e sanitari, bombardare Gaza provocando un numero di vittime enorme nella popolazione civile non si può giustificare con la lotta ad Hamas, che pure ha delle responsabilità, non solo per il massacro, ma anche perché ha trasformato la popolazione di Gaza in un gigantesco scudo umano”, sottolinea.
“Il giorno dopo il massacro, il mondo era dalla parte di Israele. Oggi quasi tutto il mondo lo critica fortemente”, ma non bisogna commettere l’errore di “non distinguere tra Netanyahu e la società israeliana, addebitando a ogni cittadino israeliano le responsabilità che del suo governo”, né “considerare che ogni ebreo, dovunque viva nel mondo, sia un suo complice a cui chiedere conto di quello che Netanyahu fa: è una cosa inaccettabile”, spiega. “Bisogna aumentare la pressione su Netanyahu perché interrompa tutte queste operazioni militari indiscriminate e garantisca l’inoltro degli aiuti in dimensione adeguata “, mentre Hamas “deve liberare gli ostaggi, cessare le attività militari e non impedire che si formi un governo di Gaza indipendente”. L’obiettivo di due popoli, due Stati non è facile “perché il massacro prima e la guerra poi hanno scavato un solco di sfiducia tra le parti, di rancore, di odio, di desiderio di vendetta, tutto questo non aiuta. In questo contesto è decisivo quello che fanno alcuni attori e secondo me tra gli attori principali c’è l’Arabia Saudita, perché è il Paese più importante del mondo sunnita, ha un rapporto con gli Stati Uniti storicamente forte, forse è il soggetto che può ottenere che finalmente i palestinesi possano avere uno Stato e garantire a Israele che quello Stato palestinese non ne metterà in discussione la sicurezza”.
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