
Dopo la mia testimonianza sull’Iran (“a Teheran rischio arresto e impiccagione”), raccolta da Fulvio Cavallari, continuo, su richiesta del direttore e con la sola regola di riportare il “sentiment” di chi viene intervistato senza entrare, chi scrive, in valutazioni e considerazioni che si possono fare altrove, a raccogliere direttamente altre voci di chi è direttamente coinvolto nei conflitti di oggi, ben 56, apparentemente diversi ma spesso collegati, se non altro e in primis per gli interessi economici. Dopo Angelica Edna Calò Livne, nata a Roma e dal 1975 in Israele, oggi vi parlo di Marina Sorina, che, nata a Kharkiv (Ucraina) nel 1973, dal 1995 vive in Italia, dove si è laureata nel 2004 in Lingue e letterature straniere presso l’Università di Verona.

Nel 2009 ha conseguito un dottorato di ricerca in letterature comparate presso lo stesso Ateneo. Dal 2008 abita nel quartiere di Veronetta (sarà un caso che i colori di Verona siano quelli della bandiera ucraina, cioè giallo e azzurro?) che considera “casa mia e al quale ho dedicato il mio secondo libro. Dal 2012, dopo aver passato un esame impegnativo, lavora come guida turistica. Dal 2014 al 2022 facevo parte del direttivo di “Malve di Ucraina” APS, l’associazione che riunisce la comunità ucraina veronese presso Centro per le donne migranti “Casa di Ramia”. Ero impegnata negli aiuti umanitari all’Ucraina, nei progetti rivolti alla diaspora ucraina in Italia, assistenza ai profughi, traduzioni letterarie, organizzazione delle manifestazioni, eventi culturali. Fra il 2022 e 2024 sono stata candidata alle elezioni municipali, politiche ed europee con Più Europa.
Sono autrice di diversi racconti pubblicati nelle miscellanee di scrittori migranti e di due libri di narrativa (Voglio un marito italiano, Punto d’incontro ed., 2006; Storie dal pianeta Veronetta, Tra le righe ed., 2018). Negli ultimi anni mi sono dedicata alla traduzione letteraria dall’ucraino, pubblicando due volumi: le poesie di Oksana Stomina (Lettere non spedite, Gilgamesh Ed.,2023) e le prose brevi di Illia Iliukha (Le mie donne, Mezzelane ed., 2024)”.
Marina, come la guerra ha cambiato la tua vita quotidiana?
Il primo cambiamento è avvenuto a fine autunno del 2013, quando sono andata a Kyiv per partecipare alla protesta di massa in piazza d’indipendenza, descritta magistralmente nel libro di Marcy Shore “La notte ucraina”, tradotto di recente da prof. Olivia Guaraldo (Castelvecchi ed., 2025). Quella manifestazione pacifica e popolare, durata mesi, ha determinato un cambiamento epocale nella politica ucraina, da un lato lanciandola verso l’integrazione europea, ma a prezzo di veder invase due delle regioni più importanti: Donbas e Crimea. Dopo quella esperienza mi sono avvicinata alle donne ucraine che frequentavano il centro culturale “Casa di Ramia”, e ho cominciato a collaborare con loro per la promozione della identità ucraina.
Dopo l’inizio della invasione russa su larga scala, a fine febbraio del 2022, la mia vita è cambiata completamente. Non avevo tempo per le faccende quotidiane o per la mia salute. C’era una emergenza umanitaria alla quale dovevamo rispondere. Certi giorni non mangiavo nemmeno, e questo stato di massima mobilitazione era comune alla maggior parte delle mie amiche. La notte mi svegliavo prima dell’alba, all’ora in cui cominciavano a bombardare la mia città, come se fossi sintonizzata. La prima cosa la mattina era vedere quali città fossero cadute, quali resistessero. Ma c’era anche un lato positivo: sono… dimagrita di colpo, ho conosciuto tante persone meravigliose e ho cominciato a parlare spesso l’ucraino, per rispetto dei profughi con i quali avevo a che fare. È cambiata radicalmente anche la mia vita lavorativa: ho cominciato a lavorare anche in lingua ucraina, oltre che in italiano ed inglese. Con il passare del tempo è tornata maggiore calma, anche se l’abitudine di svegliarsi presto e controllare subito il notiziario è rimasta.

C’è qualcosa che ti manca particolarmente della tua vita “prima”?
Mi manca la fiducia nell’umanità. La guerra ha tolto il velo di illusioni, facendo vedere cosa valgono le persone alla prova dei fatti. Prima pensavo che la nostra società europea fosse basata su leggi giuste, scritte o non scritte, ispirate ai principi di solidarietà, giustizia, libertà. Ora, visto come reagiscono i governi e i semplici cittadini alle sfide lanciate da tante dittature, mi viene il dubbio che questi valori siano veramente compresi dagli europei. Il segnale d’allarme suona chiaro e forte, il sangue scorre a poca distanza da noi, e la gente continua a dormire, ovvero vivere la propria vita senza rendersi conto del pericolo incombente.
Mi aspettavo maggiore attenzione da parte degli ambienti preposti a sensibilizzare la società, ad esempio, dalle femministe. Stranamente, non si sono mobiliate più di tanto per la guerra in Ucraina, dove le donne subiscono violenza sistematica da parte dei militari russi, ma ricoprono anche ruoli importanti all’interno dell’esercito.
Un’altra cosa che mi manca, e che spero di poter ritrovare dopo la vittoria, è la possibilità di viaggiare liberamente in Ucraina. È il paese più grande d’Europa, ricco di meraviglie storiche e naturali e di città-gioielli come Odessa e Lviv, per non parlare di Kyiv, la capitale plurimillenaria. Erano e restano, nonostante le ferite evidenti, città affascinanti e con ricca offerta culturale. Mi dispiace tanto di non aver dato abbastanza attenzione alle città meno note ma importanti, come Mariupol, mutilata in modo da essere ora irriconoscibile nei primi mesi della invasione e ormai irraggiungibile.
È molto forte la nostalgia della Crimea, dove passavo le vacanze estive con la famiglia negli anni nell’infanzia. Per me era un luogo dell’anima, che non potrò rivedere finché non tornerà sotto l’ala ucraina.
Hai familiari o amici ancora in Ucraina? Come stanno affrontando tutto questo?
I miei genitori vivono sempre a Kharkiv, a distanza di 20 secondi di volo per i missili russi. Hanno avuto varie occasioni per poter andar via, ma non hanno mai voluto fare. Non è questione di eroismo, piuttosto di fatalismo: se deve succedere qualcosa di brutto, succederà. Non vogliono lasciare la propria casa, gli affetti e le abitudini di una vita. Guardano gli eventi bellici con rassegnata serenità. Entrambi conoscono bene la storia e sanno che la pace è solo una breve parentesi fra le guerre. Se capita di trovarsi in guerra, bisogna continuare a vivere e restare umani, anche se la tua vita è in costante pericolo.
Anche i miei amici, per la maggior parte non hanno voluto espatriare. Alcuni l’hanno fatto nei primi mesi e poi sono tornati a casa. Per molti di loro conta di più essere a casa che in sicurezza. È una questione esistenziale: cedere alla prepotenza o affrontarla a testa alta? Fuggire per proteggersi o rischiare la vita ma restare coerenti con le proprie idee? Ciascuno fa la scelta in accordo con le proprie idee e forze.
Anche solo restare a vivere in Ucraina, contribuendo all’economia, mantenendo viva l’economia e la cultura, a mio avviso, è un atto eroico. Fra i miei amici rimasti in Ucraina molti si sono dedicati al volontariato, a sostegno dell’esercito e dei ceti vulnerabili. Ma c’è anche chi ha fatto un passo più deciso e si è arruolato nell’esercito, lasciando in sospeso carriera e famiglia. Alcuni di loro sono stati gravemente feriti e sono tornati a casa; altri non torneranno mai perché sono stati uccisi.
Secondo te, come si sente oggi il popolo ucraino? È più arrabbiato, più unito, più stanco…?
Non posso parlare per tutto il popolo, posso però riassumere gli umori dei miei amici, cioè della parte attiva e patriottica della società ucraina. L’aspirazione alla vittoria e alla giustizia rimane forte, come anche l’idea del destino comune, dell’unità del popolo (inteso sempre non in senso meramente etnico, ma come comunità residente su un certo territorio). Nessuno vuole arrendersi, cedere territori ecc. I russi credono che i loro attacchi potranno scoraggiare e opprimere i civili, ma in realtà ottengono l’effetto contrario e aumentano la repulsione e la volontà di rivalsa. La rabbia nei confronti dei nemici è tanta, ma non meno diffusa è l’amarezza nei confronti di chi fra i nostri alleati avrebbe potuto risolvere la situazione tempo fa, fornendo aiuti adeguati, sia militari che diplomatici ed economici, ma ha preferito temporeggiare, protraendo la guerra e dissanguando l’Ucraina.
Il cosiddetto “mondo occidentale”, fortemente idealizzato dagli ucraini, non ha mantenuto né gli obblighi legali del Memorandum di Budapest, né gli impegni presi in questi ultimi anni. Ora, in questi giorni con la minacciata defezione degli USA, se verrà confermata, l’Ucraina sarà privata anche delle armi difensive promesse, arrivate fino in Polonia. Questa decisione di Trump lascia il paese esposto alla crudeltà dell’esercito russo, che non ha tardato ad intensificare gli attacchi.
Che cosa si dice tra la gente comune sulla situazione attuale? C’è fiducia nel governo?
C’è fiducia nel governo fra quelli che lo hanno sostenuto fin dall’inizio, ovvero il 75% degli elettori; c’è, come sempre, lo scetticismo da parte dell’opposizione. Ciò che unisce entrambi gli schieramenti è, però, il desiderio di resistere all’invasore. Il governo non è il punto nodale della situazione: si fa e si disfa. Quel che conta è che i cittadini, a prescindere dalla propria etnia, fede o lingua madre, vogliono difendere la propria terra dalla barbarie russa. Sappiamo, per esperienza storica e per le testimonianze recenti dai territori occupati, che agli sconfitti sarà riservato il trattamento di cancellazione fisica e identitaria, più amaro della morte. Per questo la gente vuole ancora combattere, nonostante la stanchezza e il dolore.
I media ucraini danno un’immagine realistica della guerra o senti che qualcosa viene nascosto?
In Ucraina la verità è difficile da nascondere, perché le notizie sulla situazione reale ti arrivano direttamente dagli amici che combattono sul fronte o vivono nelle città colpite. La guerra impone tempi brevi sia di diffusione che di fruizione delle notizie, questo fa passare in secondo piano i giornali e la TV, che hanno subito una sorta di “aggregazione forzata”.
Per agevolare e sintonizzare il lavoro di singole stazioni, nel 2022 è stata imposta dal governo la “maratona televisiva”, giustamente criticata per mancanza di libertà d’espressione. I singoli canali smettevano la propria programmazione indipendente e contribuivano invece a turni al palinsesto unico. L’intenzione era buona: la realtà della guerra è tragica, rivedere sullo schermo gli orrori che hai già visto dalla propria finestra creerebbe un trauma che danneggia l’animo più fragile, soprattutto quello dei minori. Per questo il governo ha cercato di offrire un mix di notizie in cui i fatti difficili possano essere bilanciati dalle notizie rassicuranti.
Ma in fondo non ha grande importanza. Gli adulti traggono informazioni dai canali social e dagli amici. Se a Kharkiv sarà colpito un palazzo, lo saprò nel giro di mezzora, pur stando in Italia, perché da un lato ne scriveranno i testimoni oculari, dall’altro la notizia sarà confermata dai canali municipali, dei servizi di emergenza che rifletteranno l’accaduto, mentre per l’analisi più approfondita arriverà il commento di un esperto di mia fiducia sul canale YouTube qualche ora dopo.
Com’è cambiata la vita nelle città ucraine che non sono in prima linea?
Va detto che non esistono in tutta l’Ucraina zona sicure: l’assenza di difese antiaeree espone tutto il paese alla furia omicida dei vicini. Eppure, essendo il paese più grande d’Europa, l’Ucraina è così estesa, che nella maggior parte delle regioni la vita può proseguire in modo normale nelle zone non occupate e lontane dal fronte. Ci sono poi alcune isole felici difficili da colpite perché troppo vicine al confine con i paesi NATO o nascoste nelle valli montane.
Eppure, anche laddove la vita scorre in apparenza tranquilla, con bambini che giocano, studenti che vanno a scuola, caffè pieni di gente, la guerra si palesa in più modi. A livello di architettura, si trovano inevitabilmente finestre spaccate dai raid aerei e ricoperte con il compensato. A livello umano, la guerra ha portato in molte città nuovi abitanti, fuggiti dai territori occupati, che cercano di ricostruire faticosamente la propria esistenza. La loro presenza significa nuova manodopera qualificata e grande richiesta di alloggi nuovi, quindi, uno stimolo per l’economia. Un secondo gruppo, invece, è sottratto alla normalità: si tratta di militari in licenza o di reduci. Rispetto ai tempi di pace, si vedono molto più spesso uomini in uniforme, di tutte le età.
Tu come vedi il futuro dell’Ucraina?
L’Ucraina deve uscire vittoriosa da questa guerra, ripristinare la propria integrità territoriale, entrare nella comunità Europea e dedicarsi a ciò che meglio sa fare: sviluppo economico, creativo, culturale. Ci vorranno decenni per guarire le ferite di guerra: sminare i campi e i boschi, riparare i danni al patrimonio architettonico ed industriale, stabilizzare l’economia, compensare le lacune demografiche causate dalla morte dei giovani e dal calo di natalità. È essenziale anche processare i criminali di guerra russi, in un processo internazionale che faccia giustizia sia per vertici che per i singoli esecutori, e il tribunale istituito di recente è il primo passo verso quel processo.
C’è ancora speranza, o prevale la paura?
La paura non è mai stata un sentimento prevalente in Ucraina in questi anni, tanto meno la provo io che vivo nella sicurezza dell’Italia. Non ci mancano le emozioni negative: il dolore, la stanchezza, l’offesa, il disgusto, l’incredulità di fronte al tradimento di chi si dichiarava “fratello maggiore” e poi ha invaso per depredare, violentare e uccidere. Dopo le notti insonni aumenta sempre il tasso di rabbia verso gli esseri disumani che bombardano le città inermi, che si trasforma in energia positiva che ci spinge a donare, a sostenere l’esercito e l’economia ucraina, a fare ciò che possiamo, ciascuno nel proprio ambito. Ma la fiducia nella vittoria della giustizia rimane il sentimento dominante, rafforzata dal rifiuto totale e profondo del “mondo russo”.
Se potessi decidere tu, che tipo di Ucraina sogneresti dopo la guerra?
L’Ucraina già prima dell’invasione era molto vicina al mio ideale. Era un paese giovane, ricco di risorse umane e naturali, molto ambizioso, indipendente, multietnico, tollerante, lanciato verso l’integrazione europea. Tornando a trovare i miei, ogni estate la trovavo migliorata: nuovi quartieri residenziali, nuovi centri commerciali, le stazioni ferroviarie e i vecchi parchi rinnovati. Molti servizi erano digitalizzati e in molti ambiti l’Ucraina era più moderna ed accessibile dell’Italia.
L’Ucraina voleva scrollarsi velocemente di dosso secoli di colonialismo, il grigiore sovietico, la corruzione dei primi anni dell’indipendenza. Ciò che mancava negli anni di forte crescita economica era un po’ di pragmatismo. Pochi si rendevano conto del pericolo incombente, si sperava di riuscire a restare in bilico fra la civiltà europea e la dittatura russa. Alcuni politici insistevano sul potenziamento dell’esercito e sull’indipendenza energetica dalla Russia, cercavano di recuperare la memoria storica e rafforzare l’identità nazionale, ma non venivano ascoltati dalla maggioranza. Il risveglio è stato brutale e doloroso per tutti, anche per quelli che avevano promosso la smilitarizzazione o sminuivano l’importanza dell’uso della lingua ucraina in ambito ufficiale. I missili non badano molto alle idee della gente, quando colpiscono un condominio, facendolo crollare addosso agli abitanti.
Cosa pensi che il mondo (in particolare l’Europa) dovrebbe fare di più per aiutare l’Ucraina?
Basterebbe essere sinceri e realistici, ed agire di conseguenza, lasciando da parte profitti economici e mancanza di coraggio.
L’Ucraina è lo scudo della democrazia europea, sta pagando un prezzo altissimo anche per la libertà e sovranità dell’Italia e di tutta l’Europa. Se cadrà, nessuno potrà più fermare l’espansione della Federazione Russia che si mangerà con gran piacere i paesi Baltici, la Moldova ecc., imponendo ovunque la propria influenza ideologica e politica. Permettere alla Russia di invadere un paese sovrano e rimanere impunita creerà un precedente capace di sovvertire l’ordine mondiale, cancellando l’Europa dalla mappa delle potenze mondiali e lasciando il gioco ai tre paesi più grandi. Se il “mondo” vuole mantenere la propria esistenza benestante e sicura, deve svegliarsi e sostenere l’ucraina, con azioni concrete e non solo con le parole altisonanti. È un favore che farebbe a se stesso, e non solo agli ucraini.
Che cosa diresti oggi a chi vive lontano dalla guerra e magari non capisce davvero cosa succede lì?
La prima cosa che pregherei di fare è: ripassate la storia, per favore! Andate a vedere a cosa ha portato il compromesso di “appeasement”, scelto dai diplomatici europei dopo l’annessione dei Sudeti dalla dittatura tedesca. Leggete ancora degli orrori della guerra che si svolgeva proprio dove ora vivete in pace, garantita dall’Alleanza Atlantica. Senza quella, l’esercito italiano non sarà in grado di difendervi. Quando leggete delle proteste contro il riarmo, ricordatevi che anche le città italiane erano bombardate. Possono ancora esserlo, se si lascia il paese senza difese e se si cerca di saziare il drago di una dittatura in espansione, facendogli “inghiottire” altri territori, soprattutto i pezzi ghiotti come l’Ucraina.
Per uscire dalla catastrofe in passato c’è voluto l’intervento militare, e poi economico, degli americani. Ora, quando il loro governo ha subito un’involuzione e dichiara di non interessarsi più alla difesa del vecchio continente, chi ci penserà, nel caso di bisogno?
La seconda cosa è ancora più semplice: informatevi dalle fonti primarie. Parlate con gli ucraini se volete sapere come vanno le cose davvero. Leggete le ricerche degli ucrainisti italiani, i giornali internazionali, ascoltate i canali ucraini, che spesso hanno la traduzione in inglese. Non fidatevi dei finti specialisti che nascono come funghi dopo ogni emergenza. Non lasciate distogliere la vostra attenzione dal conflitto più sanguinario e duraturo in corso sul nostro continente. È quello che ci tocca da vicino.
Come reagisce la diaspora ucraina in Italia alla guerra?
Gli ucraini sono la quinta comunità straniera più numerosa in Italia, dopo i romeni, gli albanesi, i marocchini e i cinesi. In tre decenni di presenza, la diaspora si era organizzata tramite parrocchie, scuole ed associazioni locali, che si occupavano soprattutto della comunità già presente nel territorio. Feste, concerti, eventi culturali e la raccolta degli aiuti umanitari erano gli ambiti prevalenti.
Dopo il febbraio 2022 sono nate numerosi nuovi gruppi ed è cambiato il vettore di aiuti. La priorità erano l’accoglienza dei profughi e il sostegno all’Ucraina. Le associazioni ucraine si sono date da fare, ciascuna nella propria città, a supplire alle esigenze che non copriva lo stato italiano o quello ucraino. Ad esempio, l’integrazione dei nuovi arrivati, che nei primi mesi avevano bisogno di tutto, a partire dall’alloggio e dai documenti, che aprivano la strada verso il lavoro, la sanità e la scuola. Anche un semplice abbraccio in stazione, una bottiglia d’acqua, un pernottamento al sicuro potevano fare la differenza nello stato psicofisico di chi fuggiva dalla guerra.
Un altro tema molto sentito è quello del contrasto alla propaganda russa tramite eventi culturali ed informazione corretta e la denuncia dei casi più eclatanti di manipolazione dei fatti da parte dei sostenitori italici del paese terrorista. Da quest’anno una ventina di associazioni del Nord-Est e del Sud si sono unite in una rete, la Network Associazioni pro-Ucraina, salendo così di livello per poter organizzare insieme più eventi di informazione e beneficenza. È importante avere una voce rappresentativa, che possa aiutare la società civile italiana a capirci meglio.
Secondo te, la guerra ha rafforzato o cambiato il senso di identità nazionale?
Direi che la guerra ha amplificato il segnale, ma il senso è rimasto lo stesso di prima. L’Ucraina è la terra di donne e uomini liberi, indipendenti, creativi, attaccati alla propria casa, alla propria terra, pacifici ma pronti a difenderla ad ogni costo. Siamo stati oppressi per secoli ma siamo riusciti a mantenere la nostra propria identità tramite la cultura e l’arte, tramite i contatti diretti con l’Europa. Va specificato, che l’identità ucraina è multietnica e al giorno d’oggi include con orgoglio la presenza tartara, ebraica, armena, greca ecc. Solo per fare due esempi: nel governo attuale, il presidente è un ebreo che perso parenti nella Shoa, mentre il ministro della difesa è tartaro di Crimea, nato in Uzbekistan dove il governo sovietico aveva deportato i suoi genitori.
Ciò che è cambiato con l’invasione russa è il risveglio delle coscienze delle persone comuni, che una volta preferivano badare solo al proprio orticello senza porsi domande esistenziali. Ora non è più possibile.
Ci sono poesie, canzoni e simboli che oggi per gli ucraini hanno un significato ancora più forte?

Ci sono ovviamente anche poesie e canzoni, ma sono così tante che ci vorrebbero pagine e pagine per spiegarle, al pubblico generale mancano i riferimenti culturali per capire velocemente di cosa si tratta. Ci sono anche tanti simboli, barzellette, meme, personaggi della cultura di massa legati alla guerra, ma appunto dovrebbe essere un lungo articolo solo su questo, illustrato da tante immagini.
Il primo, e il più evidente simbolo, comunque, è quello dei colori della bandiera nazionale: giallo e azzurro. Molti ucraini scelgono questi colori come segno distintivo. Un fiocco sulla borsa, un braccialetto sul polso, un adesivo sul telefono, una collanina ti aiutano a identificarti come appartente al popolo ucraino.
Un altro elemento importante è l’abbigliamento, e non si tratta solo di magliette o felpe con stampe patriottiche, di cui abbiamo di solito una collezione. Il capo più prezioso è la vyshyvanka, ovvero la camicia tradizionale ricamata, di solito a punto croce, preferibilmente a mano. Questa camicia, maschile o femminile, estiva o invernale, spesso passa in dono dai padri ai figli. Chi non ha questa fortuna se la compra nei negozi specializzati o al mercato dalle artigiane ricamatrici.

C’è anche una festa dedicata alla vyshyvanka che cade il 21 maggio. Quel giorno la indossano tutti: per strada, negli uffici, nelle scuole. Ciascuno può scegliere i colori e i decori che più piacciono. L’infinita varietà dei disegni da ricamare fa sì che non sia mai noiosa. La tradizione lascia spazio alla creatività dei designer. In questi ultimi anni indossare la vyshyvanka per gli eventi solenni o familiari è ormai la regola.
Molti in Europa vedono l’Iran come complice dell’aggressione russa per via dei droni. In Ucraina, la gente vede con favore l’indebolimento dell’Iran, oppure c’è preoccupazione per l’allargamento del conflitto in Medio Oriente?
Il vettore di sviluppo dell’Ucraina moderna è diametralmente opposto all’ideologia dello stato islamico. Purtroppo, l’attualità oscura la millenaria cultura dell’Iran, cancella il fascino delle sue città storiche e della sua natura. I rapporti erano tesi già dal 8 gennaio 2020, quando l’Iran ha abbattuto un aereo civile ucraino, causando la morte di 176 persone. E sono ancora più tesi ora, quando l’unica presenza tangibile dell’Iran in Ucraina sono gli Shahed (droni). Iran non esporta più bei tappeti o deliziosi pistacchi, ma i droni-kamikaze che la gente ormai ha imparato a riconoscere dal caratteristico rumore che fanno quando si avvicinano alle case per poi esplodere. Il regime autoritario che attualmente governa l’Iran è amico del regime russo, e quindi per forza nemico degli ucraini.
Come stai tu davvero, essendo una donna ucraina e soprattutto come attivista? Perché spesso dietro la forza c’è molto dolore nascosto.
Credo questa domanda sia troppo personale, per rispondere dovrei menzionare tutte le parti della mai identità, ti do comunque una risposta generale, perché è sbagliato partire con una nota negativa e/o autocelebrativa.
Sto bene perché la mia coscienza è a posto. So che ho sostenuto la causa giusta e che ho fatto del mio meglio, in modo concreto, per aiutare la gente che aveva bisogno d’aiuto in quel momento. Nello stesso tempo, c’è una certa amarezza. Il volontariato non può risolvere i problemi globali, può solo tappare i buchi in attesa che intervengano le strutture ufficiali che hanno il potere reale nel nostro mondo. Se dopo anni vedi che lo stato non fa ancora ciò che ci si aspettava che facesse, subentra la delusione. Ci aspettavamo una risposta più duratura e seria anche da parte della società civile, da parte dei mass media, ma poi ci siamo resi conto che se non ci pensiamo noi stessi con i nostri amici, non ci penserà nessuno. Questo riguarda sia la difesa degli interessi del nostro paese d’origine in senso più ampio che il benessere degli ucraini immigrati in Italia.
E magari anche del mondo libero…