Famiglia di origini venete della sommelier Mara Severin morta nella tragedia al ristorante stellato di Terracina

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Mara Severin
Mara Severin

Una giovane vita spezzata sotto le macerie di un soffitto appena ristrutturato, in un locale d’eccellenza della ristorazione italiana. Si chiamava Mara Severin, aveva solo 31 anni, ed era discendente di una famiglia veneta trasferitasi in provincia di Latina, all’epoca Littoria, ai tempi della bonifica dell’Agro Pontino. La sua morte, avvenuta la notte del 7 luglio nel crollo del solaio del ristorante Essenza di Terracina (una stella Michelin), ha scosso non solo il mondo dell’enogastronomia, ma anche la comunità veneta, da cui la sua famiglia proviene.

Proprio nel cuore delle campagne pontine, a Pontinia, Mara viveva con i genitori e la sorella, in una zona popolata da molte famiglie discendenti dei coloni veneti arrivati nel Lazio durante il regime fascista per bonificare le paludi e costruire, dal nulla, città nuove come Littoria, poi Latina, Sabaudia, Pontinia, Aprilia. «Siamo tutti Severin da queste parti», racconta a Repubblica una cugina, «è come una piccola contea». Ed è così: Mara era una delle tante figlie di quella “generazione veneta” trapiantata a sud, che ha saputo unire laboriosità, spirito di sacrificio e amore per la propria cultura d’origine.

Mara aveva studiato ragioneria a Latina, ma non aveva proseguito con l’università. Voleva essere indipendente. Ha iniziato quasi per caso nel mondo della ristorazione, cameriera nel locale a Pontinia dello chef Simone Nardoni, suo cugino. Poi la svolta: la passione per il vino, quasi un richiamo alle terre venete di origine, diventata ben presto vocazione. Aveva conseguito il diploma da sommelier e coltivava quotidianamente il proprio sapere con viaggi studio tra Borgogna, Champagne, Chianti, Langhe e colline marchigiane. A Essenza curava la cantina con dedizione e aveva ideato “La Cave”, uno spazio esclusivo per degustazioni private che raccontava la sua visione del vino come esperienza e narrazione.

La sera della tragedia si trovava nel punto più interno del locale, sotto il solaio che ha ceduto all’improvviso. I soccorsi sono stati immediati, ma Mara è morta poco dopo, lasciando attoniti i colleghi, gli amici e l’intera comunità locale. La Procura ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo e lesioni gravissime. I lavori di ristrutturazione del soffitto risalivano a gennaio. Si cercano ora risposte, mentre il dolore è ancora troppo grande per lasciare spazio alla rabbia.

Mara non era solo una professionista stimata nel settore enogastronomico, ma anche una ragazza solare, discreta, riservata. Aveva scelto un mestiere faticoso, ma carico di senso: accogliere, raccontare, far viaggiare le persone attraverso i sapori. E lo faceva con garbo e passione. Chi l’ha conosciuta parla di lei come del “volto” del ristorante, la prima a dare il benvenuto e l’ultima a salutare, sempre con il sorriso.

Per ViPiu.it e VicenzaPiù Viva, che da sempre raccontano le storie dei veneti nel mondo e in Italia (e se l’Italia è a Latina da direttore nato in quella provincia sono doppiamente sensibile) la scomparsa di Mara Severin è una ferita che tocca il cuore dell’identità veneta. Era una figlia di questa terra anche se nata lontano, una testimone inconsapevole di quel filo che unisce ancora oggi Vicenza e Padova alle pianure laziali, le famiglie di coloni alle generazioni cresciute tra due culture.

La sua passione, la sua eleganza, la sua intelligenza sensibile meritano di essere ricordate. Come anche la sua tragica fine impone una riflessione sulla sicurezza, sull’attenzione dovuta alla vita di chi lavora, anche dentro a ristoranti stellati. Una giovane sommelier, di dna veneto, che aveva trovato il suo sogno, e lo coltivava ogni giorno. Spezzato, come una bottiglia troppo fragile. Ora resta la memoria. E resta, anche, la richiesta che sia fatta giustizia per Mara Severin.