Marino Magrin, il calcio di un tempo che prova a tornare: il “Michel Platini” di Casoni di Mussolente oggi insegna il dribbling ai bambini

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Marino Magrin
Marino Magrin

C’è un filo sottile che lega il campetto polveroso di Casoni di Mussolente alle grandi notti della Serie A. Lo ha percorso, con leggerezza e fatica, Marino Magrin, classe 1959, mezz’ala di talento e cuore, che dopo anni all’Atalanta arrivò alla Juventus nel momento più delicato: il dopo-Platini. Il filo lo riannoda Maurizio Crosetti su Repubblica di oggi e proviamo a svolgerlo noi.

“Mi chiamavano l’erede di Michel, ma il mio idolo era Tardelli”, ricorda oggi con un sorriso. “Quando ero ragazzino, lo incontrai in amichevole. Gli chiesi timidamente una foto, pensando che se fossi tornato a fare il falegname avrei potuto dire di averlo almeno toccato”.

Alla Juve non indossò mai il 10: “Fu Boniperti a darmi l’8 per proteggermi dalle pressioni. Ma per me era già un sogno giocare con Cabrini, Zoff, Scirea. Vivevo accanto alle figurine che avevo collezionato da bambino”.

Il talento e la sfortuna
Magrin si fece notare per la visione di gioco e le punizioni. “Imparai copiando i grandi: Zico, Maradona, Baggio… e un po’ di talento ce l’avevo”. A marzo del primo anno, molti compagni volevano che indossasse proprio il 10, ma un grave infortunio muscolare lo tenne fuori sei mesi. “Ero un buon giocatore, non un fuoriclasse, ma avevo carattere”.

Il calcio come scuola di vita
Cresciuto in una famiglia semplice, ultimo di quattro fratelli, Magrin imparò il mestiere con il pallone tirato contro un muro. “Era la mia scuola calcio. Da lì ho capito che il dribbling è vita. Oggi, quando faccio scouting per l’Atalanta e vedo i bambini di 8-9 anni, dico: lasciateli provare, farli saltare l’uomo è più importante che vincere una partita”.

Un uomo riconoscente
Ancora oggi, a 66 anni, quando qualcuno lo ferma per strada, si stupisce. “Non ho fatto poi grandi cose, ma la gente mi voleva bene. Questo è il regalo più bello che il calcio mi ha fatto”.

Marino Magrin non è solo un ex calciatore: è il custode di un’idea romantica di pallone, quella che nasce in provincia, tra case basse e campetti, e che ti porta a misurarti con i miti. Un’idea che oggi trasmette ai più piccoli, con la stessa passione di un tempo e con la consapevolezza che, come dice lui, “il pallone è il più bel giocattolo del mondo”.