Marta Passarin (Arci e Porto Burci): l’Italia-America Friendship Festival camuffa, male, una propaganda militare che calpesta la città

Marta Passarin: abbiamo incontrato Bulgarini D’Elci che ci ha detto se va male il festival, sarebbe ritornato in Toscana. Una persona presente alla riunione gli ha fatto una battuta: “Se per caso ti trasferisci a Pisa, evita di fare un festival dell'amicizia con Livorno, perché è la stessa cosa”.

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Marta Passarin (Arci Servizio Civile) a Porto Burci
Marta Passarin (Arci Servizio Civile) a Porto Burci

All’alba dell’Italia-America Friendship Festival, su cui il dibattito è più vivo che mai, finalmente anche sulla stampa (dopo Il Manifesto e Zapping se ne occupa anche Il Fatto Quotidiano), abbiamo incontrato Marta Passarin, una delle anime della protesta contro l’evento promosso dal Comune di Vicenza, da NIAF – National Italian American Foundation, forse il maggior finanziatore anche se c’è mancanza di trasparenza totale sulle voci economiche, dal Consolato degli Stati Uniti d’America in Italia e dall’associazione Vicentini nel Mondo, con il patrocinio della Regione Veneto e della Provincia di Vicenza e con un gran numero di aziende, molte delle quali con interessi nel settore militare. L’organizzazione è affidata alla Fondazione Teatro Comunale di Vicenza, con la direzione artistica e progettuale di Jacopo Bulgarini d’Elci.

Marta è responsabile della programmazione di Arci Servizio Civile Vicenza e Senior project manager di Porto Burci, centro culturale, formativo, aggregativo e ambientale molto attivo in città e in gestione ad Arci in comunione con altre realtà del territorio.

Ed è proprio a Porto Burci, dove l’abbiamo incontrata per l’annunciata presentazione anche lì di “America Sorella? Italiani e italo discendenti tra Usa, Brasile e altre Americhe“, il saggio/instant book dello storico vicentino (disponibile nelle librerie, online nello shop di ViPiù e da domani anche su Amazon) che abbiamo dialogato con Marta che fa parte del coordinamento “No military bases Vicenza”, il quale ha lanciato la manifestazione in programma domani, sabato 13 settembre, con partenza alle ore 16.00 da Piazza Castello (Vicenza).

Iniziamo subito da qui: da dove nasce l’idea della manifestazione?

A maggio è uscita la notizia, mi sembra che tra fine giugno e i primi di luglio abbiamo cominciato a fare la prima assemblea, già nella seconda assemblea avevamo pensato di fare una manifestazione in concomitanza del festival, tenendola non come unica iniziativa, ma andando a convogliare lì una manifestazione, con l’intento anche di arrivare in una delle basi militari. E così sarà, perché il corteo finisce al Dal Molin.

Marta, di che cosa si occupa la tua associazione Arci Servizio Civile Vicenza?

Noi ci occupiamo di servizio civile, un impegno che nasce dall’obiezione di coscienza, quindi è un’associazione antimilitarista che cerca di promuovere i valori della pace, dall’obiezione di coscienza al servizio militare. Siamo proprio antimilitaristi di natura e di statuto, quindi è sulla militarizzazione del territorio che l’associazione è sempre stata attiva. Noi gestiamo progetti di servizio civile e ai ragazzi e alle ragazze che scelgono di impegnarsi in tal senso facciamo la formazione sui temi della pace, della non violenza e della disobbedienza civile.

L’associazione esisteva già all’epoca delle mobilitazioni per la seconda base?

Arci Servizio Civile nasce nel 2001, all’epoca io personalmente non ero parte dell’associazione, ma c’erano già tanti volontari in quegli anni – soprattutto quelli delle associazioni Arci Ragazzi, Arci Servizio Civile – che occupavano parte del loro servizio civile per gestire tutta la parte della mobilitazione.

Chi parteciperà alla manifestazione di sabato?

Noi abbiamo invitato i volontari in servizio civile e tutti i nostri soci. Ci sono sensibilità diverse, ma la nostra associazione è tra le associazioni promotrici. Chi mi immagino che parteciperà alla manifestazione? Penso che un pezzo del movimento che dal 2006 ha mobilitato la città ci sarà, perché credo che questa sensazione di fastidio sia stata sentita da tutti, quindi mi immagino un bel pezzo di quella mobilitazione lì presente; anche dei giovani che nel frattempo siamo riusciti a formare e chi ha a cuore le sorti di quello che sta succedendo, nel senso che poi quello che stiamo cercando di dire è che è difficile disgiungere la questione della militarizzazione dei territori con la questione del genocidio provocato da tutte le guerre globali. In questo panorama noi facciamo un pezzo, perché abbiamo pezzi di territorio che sono sotto militarizzazione.

Non solo, io credo che l’antimilitarismo tenga dentro di sé tantissime questioni: la questione del patriarcato, la questione femminista, perché il 90% degli eserciti sono composti da uomini e le donne sono le prime vittime delle guerre, quindi la questione di genere è molto forte, sull’antimilitarismo; ma anche la questione ambientale, perché sappiamo che le guerre fanno anche dei danni ambientali, generano distruzione e, soprattutto in questo momento stanno togliendo risorse. Infatti tutte le risorse che erano state messe nel Green Deal per il rinnovamento delle energie, passare dalle energie fossili alle rinnovabili, sono assorbite adesso dal piano di riarmo europeo, quindi l’attenzione si sta spostando, e l’intento è quello di far convergere tutte queste tematiche, anche perché poi militarizzazione e riarmo vuol dire anche meno soldi per i servizi.

Questo lo dico da privilegiata perché viviamo nel mondo occidentale, nel senso che poi chi è vittima delle guerre non si fa neanche questi problemi, ce li facciamo noi, ma se mettiamo i soldi nel riarmo non ne abbiamo più per l’istruzione l’università, la ricerca, la sanità e tutte le cose che rendono una società democratica.

Quando è uscita la notizia del festival che cosa vi siete detti, cosa avete pensato?

La prima cosa che abbiamo pensato è che non abbiamo fatto tutto quello che abbiamo fatto per trovarci poi a un festival d’amicizia 12 anni dopo, nel senso che tante persone in quegli anni hanno messo a soqquadro le loro vite personali, hanno dato tanto; quell’esperienza ha rivoluzionato le vite delle persone e non ci siamo impegnati per poi trovarci con un festival dell’amicizia perché è proprio l’antitesi di quello che avevamo provato a dire in quegli anni e che poi nelle varie forme è proseguito – perché credo che poi il movimento, nel momento in cui si è assorbito, con il tempo abbia generato delle altre esperienze in città.

Io credo che Vicenza dal punto di vista di partecipazione democratica, di iniziativa culturale, di iniziativa politica sia un laboratorio, ma questo laboratorio viene anche da quell’esperienza; penso che anche un posto come questo [Porto Burci] non sarebbe nato senza quell’esperienza, perché in quell’esperienza sono nate tantissime relazioni, tantissimi gruppi di affinità che poi sono perdurati nel tempo. È chiaro che c’è stata una lunga fase di ritiro al personale e comunque un po’ di leccarsi le ferite, perché poi ha generato anche un po’ di sconforto rispetto al fatto che si diceva “provo, partecipo, metto il mio corpo, metto anche in pericolo la fedina penale e poi qual è il risultato?” Niente, perché poi il risultato è che la base l’hanno costruita ed è stata inaugurata, però penso che la città debba tanto a quel movimento e dall’altro lato penso che la fortuna di chi ha attraversato quel movimento è di aver vissuto un momento straordinario di Vicenza in tutti i sensi, quella sensazione di essere dentro la storia e non capita spesso. Penso che anche la grande reazione emotiva al festival sia stata perché ha rievocato quel periodo straordinario.

Tu avevi partecipato, anche se non con l’associazione, alle manifestazioni?

Io ero una cittadina comune, avevo 26-27 anni; quindi, ero carica di altre energie; oggi con due figli è anche più difficile fare attivismo. È vero che c’erano le associazioni, i movimenti organizzati, ma c’era tanta gente che si era mossa perché reputava la costruzione della base una cosa contro l’etica, contro la morale, le mie idee sono potenzialmente sempre state progressiste e anche anticapitaliste, la geopolitica mi interessava. Io ho uno zio cileno scappato dal golpe in Cile, oggi è l’11 settembre e per me l’11 settembre è prima il golpe in Cile, dopo sono le Torri Gemelle, quindi è chiaro che c’erano già dei semi antimilitaristi in me; oltretutto sono figlia di un militare, mio papà era un Maresciallo dell’Aeronautica e lavorava al Dal Molin, quindi mi portava spesso, era un posto che conoscevo bene, vi andavo in piscina da ragazzina, giravo in bicicletta.

Oltre alla manifestazione di sabato quali sono gli altri eventi in programma?

In questi giorni c’è la tre giorni di dibattiti che è stata organizzata dal Bocciodromo e dal Caracol Olol Jackson presso l’ex Istituto Baronio [Occupato pacificamente dal 9 settembre dagli attivisti pro-palestina, assieme a Intifada Studentesca]. Il 20 settembre alle ore 11.00 faremo un convegno a Porto Burci dal titolo “DI GUERRA IN GUERRA – La crisi del diritto internazionale e il ruolo di Vicenza Città Unesco militarizzata”, assieme all’Associazione Giuristi Democratici. Sono molto contenta perché uno degli ospiti è Marco Mascia, Presidente del Centro di Ateneo per i Diritti Umani dell’Università di Padova, una persona autorevole che potrà dare una visione sul cattivo stato del diritto internazionale che sta accadendo.  L’ho già sentito parlare un paio di settimane fa a Cernobbio al forum di altra economia “Altra Cernobbio” organizzato da Sbilanciamoci.

Poi l’idea è di continuare a fare sensibilizzazione e informazione, nel senso che è chiaro che il festival ha un po’ riaperto la contraddizione e ci ha fatto capire che forse c’è stato un gap informativo in tutti questi anni. Parlare di pace a Vicenza non è come parlare di pace a Padova, chiaramente, è complesso, è come se le basi americane fossero l’elefante nella stanza, c’è ma nessuno lo vede, è una cosa gigantesca ma è come se le persone non ne avessero percezione e anche la politica non ne ha la percezione. Io capisco la difficoltà a dire che non abbiamo le mani libere, perché a mio avviso Vicenza non ha le mani libere, non può fare quello che vuole appunto per questa altissima presenza militare, ma io credo che la città abbia dimostrato anche che non vuole essere presa in giro, quindi io apprezzerei molto di più una dichiarazione vera o comunque obiettiva che non siamo liberi in questa città. Perché non è stato annullato questo festival? A mio avviso perché non possono annullarlo, quindi io quello che auspico anche dal punto di vista politico è che ci sia un’assunzione di questa complessità, non facciamo finta che non esistano, bisogna affrontare e capire come vogliamo relazionarci.

Fermo restando che c’è una parte della città che non si vuole relazionare, e questa cosa va assunta anche dalla politica: sono 15.000 persone, bisogna aprire una relazione, ma perché? Non sono benvenuti, una parte della città non li reputa benvenuti, non stiamo parlando di persone che vengono qui a vivere, a lavorare, a mandare i figli nelle nostre scuole, a fare la spesa nei nostri supermercati, non fanno parte della nostra comunità e mi urta molto quando viene identificata la presenza americana come una comunità statunitense, perché non lo è, e soprattutto non fa parte della nostra, sono due cose separate e distinte. In 70 anni che sono qua abbiamo una paninoteca americana, abbiamo dei negozi statunitensi? No, non c’è stata integrazione, ma perché? Perché probabilmente non la si vuole: c’è tutta questa retorica di costruire i ponti, questo festival costruisce i ponti, ma chi è che gli vuole attraversare quei ponti lì? La città non ha mai dimostrato la volontà di volerlo attraversare quel ponte, e dall’altra parte neanche, probabilmente anche per la storia della città; quindi, io credo che bisognerebbe discutere apertamente di questo, perché se no rimane una questione irrisolta. Quindi limitare al minimo anche i rapporti istituzionali, perché la città non ha mai dato un mandato di ospitalità, e quindi credo che anche le forze politiche debbano assumere la posizione in questo senso.

Questa fantomatica amicizia del titolo del festival, quindi, non c’è?

Non c’è un’amicizia, anche perché io penso che l’amicizia nasca quando le persone sono alla pari e si sentono affini, quando due persone hanno delle cose in comune e soprattutto quando c’è il rispetto. Questa città non è stata rispettata dagli statunitensi e soprattutto non c’è un rapporto allo stesso livello, noi in qualche maniera subiamo la loro presenza. Tra l’altro l’amicizia non c’è neanche bisogno di esplicitarla, e quindi sembra un artificio anche fare un festival sull’amicizia, è come andare ad ingrandire una cosa perché probabilmente il sentimento non c’è.

Perché questo festival, secondo te?

Credo che uno dei motivi di questo festival sia proprio la normalizzazione della presenza americana in città, sia la reindicizzazione del web, molto banalmente, perché così quando scrivi “Vicenza-Stati Uniti” ti viene fuori il festival e non appaiono i movimenti in opposizione alla costruzione della base, vecchi e nuovi. Questo fa parte di tutto un percorso, nel 2011 hanno cambiato il nome Del Din – Dal Molin, la Pluto adesso si chiama Miotto: tutta questa risemantizzazione delle cose dall’alto per cancellare.

Tanti dicono “Va beh, vengono qua, non abbiamo gli aeroporti, alla fine Vicenza è considerata la città dove si riposano”, ma sei comunque connivente, fai parte comunque di un sistema bellico, anche se vieni qua e non fai le esercitazioni, passi il tempo, comunque è un tempo di riposo funzionale a ricaricarti per andare in guerra successivamente.

Secondo te, dopo questa cosa, Possamai ha perso gran parte del suo elettorato per un’eventuale ricandidatura?

Marta Passarin (Arci Servizio Civile e Porto Burci)
Marta Passarin (Arci Servizio Civile e Porto Burci)

Penso che la gente ci penserà due volte. Anche le liste si sono espresse, chi più chi meno ha dato un segno. Credo che forse ci volesse un po’ più di coraggio anche da parte di qualche assessore, perché poi il processo che ha portato a questo festival è stato tutto sottobanco in qualche maniera, e anche quella è stata una cosa molto fastidiosa che ha richiamato un po’ la storia del Dal Molin, perché scoprire che il festival è stato lanciato un anno prima, e tu lo sai, a maggio, per un festival di settembre, e che la Giunta non sapeva niente, che arrivano in Giunta ed è tutto fatto, e nessuno ha avuto voce in capitolo, vuol dire che è una cosa che viene dall’alto o viene da una malsana idea dell’ideatore.

Abbiamo incontrato Bulgarini D’Elci in tre-quattro persone, lui diceva che se va male il festival, sarebbe ritornato in Toscana. Una persona presente alla riunione gli ha fatto una battuta: “Se per caso ti trasferisci a Pisa, evita di fare un festival dell’amicizia con Livorno, perché è la stessa cosa”. O non sa leggere i contesti o ha un secondo fine.