L’informazione nasce tronca non solo quando diffonde fake news ma anche quando riferisce solo parzialmente degli avvenimenti, come è stato per l’inaugurazione di ieri del Parco della Pace con ampi servizi tv, paginoni sui giornal(in)i e lanci web che ne esaltano i punti positivi, pur ipotizzabili, ma dimenticano completamente la presenza viva e sentita di chi ha lottato contro la costruzione della seconda base USA a Vicenza, quella Del Din, che col nome ha già “stuprato” l’omaggio al vicentino Dal Molin, cancellando il nome storico dell’area, e che è stata la premessa della cessione alla città della parte verde dell’ex aeroporto Dal Molin.
Hanno esultano ieri gli amministratori del Comune di Vicenza, che nella nota ufficiale affermano che “al momento del taglio del nastro – un tricolore lungo 100 metri – già 5.000 persone avevano varcato gli ingressi della più grande area verde della città” con le foto e le immagini che, però, non ne danno chiara visibilità.

Ma nessuno (salvo sviste di cui ci scusiamo) ha ricordato che, senza la possente macchina organizzativa e pubblicitaria che avrebbe fatto confluire all’ex Dal Molin, ora Parco della Pace, 5.000 persone per soddisfare la curiosità del primo giorno e per sgambettare, il 13 settembre scorso ben 2.500 vicentini hanno marciato pa-ci-fi-ca-men-te per chilometri contro l’Italia-America Friendship Festival, che celebrava i 70 anni della prima base.
Quei 2.500 erano stati sollecitati solo da volontari, volantini, passa parola anche se “non informati” dai media se non per le presunte “pericolosità” della partecipazione legata in modo artificioso (artefatto?) al Bocciodromo e agli antagonisti.

Ebbene noi vogliamo informare, oltre che sulla parte di faccia luminosa e “istituzionale” del Parco della Pace (che ci auguriamo lo rimanga anche da domani in poi, finita la festa, senza caricare di costi stratosferici i vicentini per la gestione di 650.000 mq di spazi), anche su quella, ancora più significativa di pace (e non solo di spazio di svago, magari e necessariamente commercializzato in qualche modo), che vorrebbero quelli che, come Marta Passarin, tanti attivisti e tanti cittadini, dal 13 settembre sono “tornati” e che ieri hanno dato voce a chi nel Parco ha parlato della sua origine e del suo futuro.
Se autorità sorridenti e discorsi solenni hanno, infatti, salutato ieri l’inaugurazione del Parco della Pace, definito in tv anche come un “regalo” per la città, non bisogna dimenticare la verità: questo parco nasce come compensazione beffarda per la costruzione della seconda base militare statunitense, la Del Din, che ora si staglia minacciosa proprio accanto ai 65 ettari verdi, dopo aver distrutto la falda idrica e compromesso irrimediabilmente il futuro utilizzo di quell’area.

Lo ha ricordato senza mezzi termini Marta Passarin, storica e, all’epoca, giovanissima attivista No Dal Molin, intervenuta con altri antimilitaristi all’inaugurazione: «Se questo Parco della Pace esiste è grazie alla mobilitazione contro la base, non certo alla generosità di chi ci ha imposto la Del Din. Non è uno spazio neutro, ma il simbolo di una lotta che ci ha resi vivi e vegeti».
«Per noi è sempre stato un luogo di speranza e resistenza – ha detto nell’intervento che, insieme a quelli degli altri attivisti, pubblichiamo in audio integralmente a seguire*-. Qui ho piantato alberi nel 2009, qui ho vissuto un pezzo della mia vita e ho anche incontrato il mio compagno, e oggi torno per dire che noi siamo ancora vivi e vegeti».
Passarin ha ripercorso le tappe di quel movimento che si oppose per anni all’ampliamento della base Usa, con manifestazioni, ricorsi, presidi e incontri internazionali. Un movimento che ha lasciato un segno profondo: «Hanno costruito la base, ma non sono riusciti ad estirpare alla radice il dissenso che ci tiene uniti».
Due i punti che l’attivista ha voluto sottolineare con forza.
Primo: la richiesta che i militari statunitensi siano dichiarati indesiderati nel Parco della Pace. «Serve un cartello che dica chiaramente: questo è spazio demilitarizzato. I soldati Usa non devono metterci piede», ha affermato non certo, speriamo, per escludere singole persone come i militari americani, che, comunque, rischiano la vita agli ordini dei superiori e per volontà del loro governo, ma per simboleggiare fortemente l’antimilitarismo verso gli USA, che ne è spesso l’antitesi.
Secondo: la testimonianza di resilienza del movimento. «Ci davano per sconfitti, ma noi siamo ancora qui. Sparsi come spore nella città, continuiamo a costruire comunità e alternative. Non ci siamo mai arresi e non ci arrenderemo».
Per Passarin e gli altri attivisti, il vero compimento della “missione simbolica” del Parco della Pace arriverà solo quando l’area della base diventerà un luogo di cultura, sapere, università e co-housing sociale. «Vicenza non deve limitarsi a essere città di pace – ha concluso – deve diventare città antimilitarista».
* In audio gli interventi al Parco della Pace di Carlo Presotto, Nora Rodriguez e Marta Passarin.