
Il caso PFAS torna a scuotere il Veneto. Dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari per dodici persone coinvolte nella gestione dei cantieri della Superstrada Pedemontana Veneta, tra Castelgomberto, Malo e Montecchio Maggiore, si alza il tono politico. Le accuse — inquinamento ambientale e omessa bonifica — riguardano dirigenti e tecnici del Consorzio SIS e della SPV S.p.A., sospettati di aver impiegato additivi contenenti PFBA, un composto della famiglia dei PFAS, in concentrazioni superiori ai limiti fissati dall’Istituto Superiore di Sanità.
Per Rifondazione Comunista – Federazione di Vicenza, la vicenda conferma la continuità di un sistema “che antepone il profitto alla vita”.

“Ancora acque contaminate, suoli avvelenati, rischi per migliaia di cittadini – denuncia il partito –. È il copione di sempre: imprese che inseguono il guadagno, istituzioni che chiudono gli occhi, persone e territori che pagano le conseguenze. Chi ha diretto i lavori sapeva bene cosa stava facendo: l’uso del PFBA non è un errore, è una scelta criminale”.
Rifondazione ricorda che “il Veneto è già ferito dal disastro Miteni di Trissino, che per cinquant’anni ha contaminato 700 km² di suolo e acqua, avvelenando la seconda falda acquifera d’Europa”. Per il partito, “l’inquinamento delle gallerie SPV è solo un nuovo capitolo dello stesso disastro, frutto di un modello industriale predatorio e moralmente corrotto”.
Nel comunicato, la segreteria provinciale va oltre la denuncia e avanza precise richieste: “Chiediamo la bonifica immediata delle aree contaminate, la pubblicazione integrale delle analisi Arpav, biomonitoraggi gratuiti per i residenti, la costituzione di parte civile di Regione e Comuni e la sospensione dei lavori finché non saranno garantiti standard reali di sicurezza”.
E conclude con toni duri: “Vicenza e il Veneto non sono carne da profitto. Il tempo delle scuse è finito”.

Sulla stessa linea, ma da un fronte più istituzionale, l’eurodeputata Cristina Guarda (Verdi–Alleanza Verdi e Sinistra) rivendica di aver portato per prima all’attenzione pubblica il caso, nel 2021, quando presentò un’interrogazione alla Giunta Zaia.
“Allora la Regione minimizzò, parlando di assenza di azioni contrattuali previste dalla concessione. Oggi la magistratura accerta la gravità dei fatti e iscrive dodici persone nel registro degli indagati. È inaccettabile che un’opera pubblica diventi veicolo di nuove contaminazioni in un territorio già devastato dai PFAS”.
Guarda ribadisce che “chi inquina deve pagare” e attacca il ritardo politico della Regione:
“Questa indagine conferma che le nostre denunce non erano allarmismi. Non siamo il partito del no, ma di chi vuole tutelare la salute dei cittadini e la qualità dell’ambiente in cui viviamo”.
Tra indagini giudiziarie, nuove accuse e promesse di trasparenza, il caso PFAS torna dunque al centro del dibattito politico regionale. Per molti, la Pedemontana Veneta rischia di diventare il “nuovo caso Miteni”, simbolo di un sistema che ha trasformato lo sviluppo in emergenza e il silenzio istituzionale in complicità ambientale.