
In una società in cui i giovani vivono immersi in smartphone, social network e connessione costante, la domanda cruciale è: cosa stanno imparando riguardo a relazioni, consenso, identità, affettività e rispetto? È su questi temi che Gino Cecchettin – padre della giovane studentessa Giulia Cecchettin, uccisa a 22 anni a Vigonovo (VE) – ha lanciato una riflessione urgente, intervenendo presso l’Istituto Bizio di Longare (VI) in un incontro organizzato nell’ambito dei Patti Educativi di Comunità.
Giovani, smartphone e vuoto educativo
«Non vedo giovani senza cellulare», afferma Cecchettin, e al contempo nota che «non c’è l’educazione sessuale» adeguata. Il risultato? Ogni ragazzo o ragazza è lasciato ad auto-apprendere nel peggiore dei modi una tematica fondamentale: affettività e relazioni.
Secondo Cecchettin, l’educazione sessuale dovrebbe essere inserita nel piano formativo con la stessa importanza della matematica — non trattata come “opzione da far approvare ai genitori”. Perché non si chiede mai ai genitori se vogliono che si insegni trigonometria ai figli; allora perché farlo riguardo al consenso e alla sessualità?
Educare non è soltanto informare: è dare contesto, strumenti e linguaggio adatti.
Verso quale educazione stiamo andando?
Un tema che assume un rilievo ancora maggiore alla luce del recente emendamento approvato dalla Commissione Cultura della Camera (mercoledì 15 ottobre 2025), che rischia di vietare l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole secondarie di primo grado (11-14 anni) — in contrasto con le raccomandazioni della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
Una decisione che rischia di escludere gli studenti da attività didattiche su malattie sessualmente trasmissibili, gravidanze precoci, prevenzione della violenza sessuale.
Secondo Cecchettin, l’educazione è uno strumento per capire noi stessi e gli altri, per comprendere il valore del rispetto dell’altro e di sé. Vietarla non è la strada per combattere la violenza; al contrario, serve il coraggio di parlare di affettività prima che diventi cronaca.
Affettività, libertà, dinamiche invisibili
Tra i temi centrali del suo intervento: la libertà come mattoncino della relazione sana.
La violenza, la possessività, il controllo non arrivano sempre come un’esplosione, ma si insinuano con piccoli gesti, fino a diventare quasi “normalità” – e allora uscire diventa difficile (la metafora della rana bollita).
In una relazione (amorosa, familiare, lavorativa) in cui qualcuno limita la libertà dell’altro — non lascia uscire, decidere, parlare — non è amore: è prevaricazione.
Cecchetti invita i giovani a porsi domande: chi voglio essere? cosa voglio fare? se qualcuno mi dice “non puoi farlo”, perché? Chi mi dice che non lo posso fare, ha diritto? Questa è autolimitazione o prevaricazione?
Verso una pedagogia dell’affettività e del rispetto
L’intervento di Cecchettin si conclude con una sfida: non attendere che “qualcuno” insegni queste cose, ma che la comunità educante – genitori, scuole, società – entri in campo con strumenti, linguaggi, autonomia. Non è solo questione di “fare”, ma di “essere”: essere presenti, essere esempio, essere aperti al nuovo.
In un’era in cui la tecnologia non è neutra – algoritmi, social network, notifiche rubano tempo – quel tempo che potremmo dedicare al dialogo, all’incontro reale, alla riflessione.
Il tempo è una risorsa preziosa: dedicare tempo ai figli, togliere il cellulare a tavola, scegliere insieme un momento di dialogo — tutto questo è educativo, riparatorio rispetto all’uso passivo della tecnologia.
Senza contare, che dal punto di vista psicologico, gli studi più recenti sullo sviluppo adolescenziale e la neuroplasticità sottolineano come l’uso intensivo della tecnologia possa ridurre la capacità di riconoscere le emozioni altrui, impoverendo le relazioni faccia a faccia e l’apprendimento emotivo (anche tramite i neuroni-specchio).
Un impegno che nasce dal dolore e si trasforma in speranza
Dal suo dramma personale, Cecchettin ha dato vita alla Fondazione Giulia Cecchettin, con sede nel Veneto, della missione forte e urgente di combattere le radici culturali della violenza di genere, intervenire preventivamente, offrire sostegno concreto alle vittime.
In questo scenario, diventa importante rivolgersi a professionisti esterni per chiedere aiuto per sé o per un proprio caro, quando si vivono relazioni difficili, sofferte, ambigue, conflittuali, temi che saranno affrontati nei prossimi articoli, perché il cambiamento parte dalla consapevolezza!
Conclusione
L’intervento di Gino Cecchettin non è solo un monito, ma un invito all’azione: investire nella formazione, nel dialogo, nella consapevolezza e nella presenza. Perché ogni ragazzo e ogni ragazza meritano di crescere non solo con uno smartphone in mano, ma con una vita pienamente vissuta, consapevole, rispettata e rispettosa,
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