La tragedia dei profughi dell’Altopiano di Asiago durante la Grande Guerra alla Scuola del lunedì

Adolfo Trevisan e dieci testimonianze dei discendenti di questi profughi

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1915-1918 profughi grande guerra
La sala piena della biblioteca La Locomotiva per l'appuntamento della Scuola del lunedì

1915-18 la tragedia dei profughi dai nostri monti è il tema che ha inaugurato il mese di dicembre nel calendario di appuntamenti della “Scuola del lunedì”, presso la sala della biblioteca La Locomotiva, il cui palazzo in via Rismondo 2 ai Ferrovieri è occupato da lavori di manutenzione. La pioggia non ha fermato i moltissimi interessati che, come sempre, hanno riempito la sala (poche le sedie libere e tutte in fondo).

Ospiti di Daniele Bernardini – coordinatore responsabile della Scuola del lunedì, ex primario di gastroenterologia del San Bortolo e presidente della Fattoria Il Pomodoro di cui abbiamo scritto nel numero 303 di VicenzaPiù VivaAdolfo Trevisan e dieci “testimoni”, ovvero parenti dei profughi che nel 1916 furono costretti ad abbandonare i paesi dell’Altopiano dei Sette Comuni a causa della guerra. Il relatore, che ha specificato di non essere uno storico titolato – “sono un appassionato curioso della storia nostrana” e che in passato ha trattato la storia di Vicenza anche da altri punti di vista, ricordiamo la storia dei fiumi o quella della toponomastica ha coordinato la ricerca oggetto della pubblicazione presentata nel 2016, con l’intento di raccontare quella tragedia attraverso le voci dei discendenti e i ricordi di famiglia, perché fosse una storia vissuta, sentita e conosciuta.

1915-1918 profughi grande guerra
La slide introduttiva dell’intervento

Durante la Grande Guerra l’Altopiano fu uno dei luoghi in cui la battaglia si fece più crudele: l’esercito austriaco lo scelse come via strategica per raggiungere la pianura vicentina; i piccoli paesi divennero dunque fronte di guerra e la gente che vi abitava dovette abbandonare quei luoghi (volontariamente o per costrizione), per rifugiarsi in zone meno pericolose. Perché avvenne l’esodo, in che modo, quali le difficoltà incontrate dai profughi e come (se) ritornarono ai territori natii è presto spiegato attraverso le testimonianze di nonni, bisnonni e padri di Mary, Concetta (a leggere la figlia Silvia), Ennio, Domenico (mancato qualche mese fa, al suo posto la figlia Francesca), Luisa, Giovanni, Anna, Giuseppe e Antonia, ospiti oggi ai Ferrovieri.

“Abbiamo scelto di raccontare la storia non nel modo classico ma più come filò. C’è poco di epico e molto di vita vissuta” esordisce Trevisan.

Riporto alcuni passi significativi dei racconti fatti.

Silvia legge la testimonianza della mamma Concetta: il suo bisnonno materno Angelo Tranquillini abitava a San Martino di Arco, sulla linea di confine tra impero austro-ungarico e regno d’Italia, erano quindi cittadini tedeschi pur essendo di cultura e lingua italiani. Dopo il 24 maggio 1915 la chiamata alle armi s’intensificò, furono reclutati tutti gli uomini fino ai 40 anni d’età, e si rese obbligatorio lo sfollamento della popolazione; le autorità tedesche assicurarono ai profughi la protezione all’interno del perimetro dell’Impero. Scesero a piedi a Rovereto, dove ogni giorno partivano i treni; a Bolzano furono fatti scendere e caricati su altri vagoni senza tener conto del paese d’origine, Angelo fu mandato a Kuttenplan (attuale Chodová Planá, in Repubblica Ceca). Lo aspettavano baracche di legno che ospitavano fino a settanta persone, dove gli sfollati patirono la fame, il freddo, la malattia e anche la morte, visti con ostilità dai tedeschi che li consideravano stranieri e traditori.

La nonna di Domenico era nata negli Stati Uniti, ma in seguito alla morte del padre, con la madre e i fratelli tornò in Italia stabilendosi ad Asiago; se prima aveva fatto colazione con i biscotti, qui c’erano solo polenta e latte. Divenuta grande, si sposò con Domenico che allo scoppio della guerra fu arruolato e partì per il fronte; dovettero emigrare verso la pianura perché Asiago era zona di guerra. Scendendo incontrarono i soldati che si recavano verso l’Altopiano e che, non sapendo a cosa andassero incontro, li rincuoravano dicendo che presto sarebbero tornati nelle loro case. La famiglia trovò ospitalità a Marostica da altri contadini; durante la notte la nonna sentiva le ambulanze scendere dalle montagne cariche di soldati feriti che urlavano di dolore quando si prendevano le buche sulle strade bianche.

Anna racconta che nel 1916 la mamma (nata nel 1906) dovette fuggire da Treschè Cesuna: non volevano scappare, perché la famiglia aveva i campi, la stalla con le bestie e la casa, dunque se ne andarono all’ultimo minuto ed ebbero sei ore di tempo per raccogliere le poche cose che potevano portare; accanto alla stazione era pieno di soldati morti, “nelle canalette al fianco della strada scorreva il sangue”. Trovarono ospitalità a Costabissara da altri parenti.

Infine, seppur non nelle testimonianze raccontate, doveroso ricordare che la convivenza tra i profughi e gli ospitanti in alcuni casi non fu “felice”, bensì vi furono casi di maltrattamenti, perché erano visti come “coloro che arrivavano senza nulla in tasca e portavano via il pane”.

In chiusura, una signora ricorda che con il Circolo Noi della parrocchia, qualche anno fa si sono recati in gita a Cismon del Grappa e verso il lago del Corlo. Un tempietto in zona ospita la Madonna del Pedancino, la quale nel 1917 “seguì” i profughi a Giarre, in Sicilia, i cismonesi la vollero caricare sul treno per non separarsi dalla loro protettrice. Quando poi tornarono a casa, riportarono anche la Vergine, e tutt’ora ogni 10 anni la comunità di Cismon ricorda gli avvenimenti accaduti il 18 agosto del 1748, quando la statua della Madonna è stata portata via da una piena eccezionale del torrente e miracolosamente ritrovata intatta alcuni giorni dopo a Friola di Pozzoleone.

Tra gli interventi, chi ha ricordato i lunghi strascichi della Grande Guerra, quando fu necessario rimuovere il materiale bellico rimasto e ci furono molti morti a causa di ciò; qualcuno invece ricorda i “giochi” di gioventù, quando i ragazzi si intrufolavano nelle trincee abbandonate piene di armi vere e lasciate lì dall’esercito, “giocando alla guerra”.

 

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Le testimonianze lo raccontano al meglio

La scuola del lunedì, nata nel 1989 grazie a Don Carlo Gastaldello, parroco dei Ferrovieri, come eredità del diritto allo studio che nel 1974 prevedeva un monte di 150 ore affinché gli operai potessero istruirsi ed imparare, ha nuovamente fornito un terreno di riflessione e soprattutto una tematica di cui poco si narra e si conosce, ma che tanto può insegnarci. D’altronde, i profughi di guerra sono qualcosa di estremamente attuale e non bisogna correre il rischio di “dare un’impostazione epica alla guerra”.

Gli incontri della Scuola del lunedì si possono rivedere qui.