Cause SLAPP e querele bavaglio: cosa sono e perché minacciano la libertà di parola e di stampa. Antidoti a New York, non in Italia

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Slapp e querele bavaglio
Slapp e querele bavaglio

Negli ultimi anni, soprattutto nel mondo dell’informazione e dell’attivismo civico, si sente parlare sempre più spesso di SLAPP, acronimo di Strategic Lawsuits Against Public Participation. In italiano vengono spesso definite “querele bavaglio” o cause intimidatorie, perché il loro obiettivo non è tanto ottenere giustizia quanto mettere a tacere chi parla, scrive o critica su temi di interesse pubblico.

Una SLAPP o una querela intimidatoria o temeraria è, in sostanza, una causa legale usata come strumento di pressione. Viene intentata contro giornalisti, editori, attivisti, associazioni o semplici cittadini che hanno espresso opinioni, pubblicato inchieste o denunciato comportamenti discutibili. Le accuse formali sono spesso diffamazione, danni reputazionali o interferenza economica, ma il fine reale è un altro: intimidire, logorare economicamente e scoraggiare la partecipazione democratica.

Il meccanismo è semplice. Chi promuove la causa – spesso soggetti potenti, con grandi risorse economiche e, comunque, molto maggiori dell’accusato – sa che anche una denuncia infondata può costringere il convenuto a sostenere costi legali elevati, affrontare lunghi procedimenti e vivere sotto stress per anni. Il messaggio implicito è chiaro: “Se parli, paghi”. In molti casi, questo basta a ottenere l’effetto desiderato, cioè il silenzio.

Negli Stati Uniti, e in particolare nello Stato di New York, il fenomeno delle SLAPP è stato riconosciuto come una minaccia sistemica alla libertà di espressione, tanto da portare all’adozione di leggi specifiche dette anti-SLAPP. Queste norme servono a proteggere chi esercita il diritto di parola su questioni di interesse pubblico.

La legge anti-SLAPP di New York, rafforzata nel 2020, è considerata una delle più avanzate. Prevede strumenti molto incisivi: la possibilità di chiedere una archiviazione rapida della causa, la sospensione delle attività processuali più onerose (come la raccolta massiccia di documenti), e soprattutto lo spostamento dell’onere della prova su chi ha promosso la causa. In altre parole, è l’accusatore che deve dimostrare subito che la sua azione ha un fondamento serio e non è solo intimidatoria.

Un elemento cruciale è che, se una causa viene riconosciuta come SLAPP, il giudice può condannare chi l’ha intentata a rimborsare le spese legali della controparte e, nei casi più gravi, a pagare danni aggiuntivi per abuso del sistema giudiziario. Questo rovescia completamente la logica della querela bavaglio, rendendola un’arma rischiosa per chi la usa in modo strumentale.

Quando si dice che una SLAPP “accusa qualcuno di voler tappare la bocca”, non si tratta solo di un’espressione giornalistica. Dal punto di vista giuridico significa sostenere che la causa viola la libertà di parola, colpisce il dibattito pubblico e costituisce un abuso del diritto di azione in giudizio. È una critica forte, che chiama in causa i principi fondamentali della democrazia.

Il confronto con l’Italia è inevitabile. Anche nel nostro Paese esistono le cosiddette querele bavaglio o temerarie, soprattutto in ambito giornalistico, di cui chi vi scrive è “esperto”, ma le tutele sono molto più deboli. Non esiste ancora, nonostante i passi avanti in UE, che dovrebbero essere compiuti anche in Italia entro maggio 2026, una disciplina organica anti-SLAPP come quella statunitense, e spesso chi subisce una causa infondata deve affrontare anni di processo prima di vedere riconosciuta la propria ragione nonostante da anni giacciano, mai approvate, in Parlamento proposte al riguardo e nonostante il presidente del Consiglio e i suoi vice (Giorgio Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini), siano, oltre che politici, anche giornalisti professionisti….

Capire cosa sono le SLAPP e le querele bavaglio è quindi essenziale non solo per gli addetti ai lavori, ma per chiunque tenga alla libertà di informazione. Perché quando una voce viene zittita con la paura, non perde solo chi parla: perde l’intera collettività.