30 anni fa crollò il muro di Berlino. Vaccari: «Oggi il mondo è più unito»

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«Seguivamo tutto, ogni attimo, e c’era come un respiro sospeso, una paura terribile che arrivasse l’ennesimo bagno di sangue. Nessuno pensava che il muro di Berlino potesse cadere. Non era un evento atteso».

Franco Vaccari, presidente di “Rondine”

È il ricordo che Franco Vaccari, presidente di “Rondine Cittadella della Pace”(organizzazione impegnata per la riduzione dei conflitti armati nel mondo) condivide di quel 9 novembre 1989, quando crollò il muro che divideva in due Berlino dal 1961 e che era diventato il simbolo della“cortina di ferro”,durante la“guerra fredda”,la linea di confine tra l’Est comunista e l’Ovest capitalista. «Allora – ci racconta il presidente – nessuno pensava a una ipotesi simile. Era come togliere una casella di un equilibrio mondiale e uscire dalla Guerra Fredda».

E il muro invece è caduto e il respiro ha potuto spiegarsi in tutta la sua potenzialità. È stato così?

«Negli anni successivi al crollo il respiro è stato così grande che ha spinto il pensiero in una sorta di illusione. Si è arrivati a pensare che cadendo quello di Berlino, il vero tabù mondiale, in qualche modo tutti gli altri muri potevano cadere. Invece così non è stato».

Quali sono stati gli effetti di questo crollo?

«Intanto è finita la Guerra Fredda. Io ero tra quelli che erano spesso a fare marce per la pace in anni in cui i missili cruise (americani) e gli SS20 (sovietici) erano ben puntati. Ricordo il primo viaggio al Cremlino nel 1987 sulle orme di Giorgio La Pira. Ricordo il timore con cui mettevamo questi passi sulla Piazza Rossa. C’erano i segnali della Glasnost e della Perestrojka, ma erano ancora segnali timorosi. Il Muro era la realtà e il simbolo di un ordine mondiale che aveva tutti i suoi limiti e le sue tragedie, ma era un ordine. La fine di quel Muro ha segnato la fine di un’epoca e l’inizio di un’epoca di caos».

Come primo bilancio dunque il disordine al posto dell’ordine.

«Certo e non poteva essere altrimenti. È un disordine che durerà. La storia umana per la prima volta tenta di navigare in questa tempesta del caos mondiale».

Uno dei risultati di tale svolta è stato l’allargamento dell’UnioneEuropea. Che valutazione ne dà?

«Anche questo fatto andrebbe letto con attenzione critica. L’inclusione di molti Paesi nella logica europea è stata una grande cosa. Però questo allargamento è stato vissuto dall’Unione Sovietica e dalla Russia come un accerchiamento. L’allargamento dell’Europa e dell’alleanza Atlantica ha risvegliato il sentimento di accerchiamento e dunque di chiusura difensiva nell’Urss e poi nella Russia.Molte delle crisi attuali che ci sono tra Russia ed Europa, nascono da un allargamento un po’ troppo baldanzoso, non negoziato, non multilaterale».

Uno dei protagonisti di quell’epoca fu papa Giovanni Paolo II.Che ruolo ha avuto in questo processo?

«È una lettura contrastante. Da una parte è indubbio il ruolo esercitato da questo gigante umano, culturale e spirituale che è stato Giovanni Paolo II; Solidarnosc, la Polonia sono stati tassello decisivo in questo equilibrio. Accanto a ciò va tenuto conto che in Russia non tutto quello che viene dalla Polonia è visto con simpatia. È un paradosso: l’uomo che più ha contribuito a favorire il processo di libertà e democrazia nell’Unione Sovietica, è l’uomo a cui è stato negato poi l’accesso in Russia.

La chiesa ortodossa, poi, ha sempre una caratteristica molto nazionale. Quindi la chiusura Russa verso l’Occidente è in qualche misura andata di pari passo con la Chiesa Ortodossa Russa.Il dialogo è andato avanti, però certe volte si ha l’impressione che sia cresciuto più quando la chiesa ortodossa russa era perseguitata che non ora che ci sarebbero le condizioni per fare dei passi».

Anche oggi ci sono muri. Quali sono i fattori che possono aiutare a costruire ponti invece di muri?

«La paura è il cemento di ogni muro. L’opposto è la fiducia. La fiducia però non è qualcosa div ago, di sentimentale. È l’esercizio delle relazioni concrete.La conoscenza concreta dentro a una costellazione di valori, permette il costruirsi della fiducia. Ovunque ci si incontra, per quello che si è, si aprono dialoghi, lì nascono i ponti».

Quali sono i muri che la preoccupano di più?

«Quelli interiori, mentali. Un muro di cemento non nasce se non c’è qualcuno che lo ha già in testa.Tutto fa paura e allora ci si rifugia in muri mentali. Oggi poi ci sono i muri del mondo digitale, dei social media che stanno costruendo percorsi sempre più recintati dove ci si incontra sempre più con i simili e sempre meno con i diversi. Questo è un muro terribile sul quale bisogna mettere lo sguardo e lanciare un allarme».

A Rondine come fate l’esperienza concreta di far incontrare le persone che sono nemici?

«Noi facciamo incontrare quelli che la storia ha consegnato loro un patrimonio e una memoria avvelenati, una identità avvelenata».

Voi in questo privilegiate i giovani. Perché?

«Ce lo insegna Greta: sono le persone meno strutturate, meno condizionate da pregiudizi»

Oggi chi lavora per costruire ponti?

«Citerei papa Francesco e il patriarca Bartolomeo I. Francesco è un “pontefice” nel senso più profondo del termine.Costruire ponti per lui è parlare con tutti, è abbattere pregiudizi. La medicina della misericordia crea un habitus spirituale e mentale dell’apertura, del darti sempre una nuova possibilità. Bartolomeo I, al quale mi lega una sincera amicizia è un faro mondiale su questi grandi temi. Vive in una condizione molto difficile: da Patriarca a Costantinopoli nella Turchia contemporanea, con un mondo ortodosso che fatica tanto».

Il mondo è più unito o più diviso di 30 anni fa’?

«È molto più unito, assolutamente. Il tema è che c’è la paura dentro a questa unità, tanta paura e disorientamento. Dobbiamo alfabetizzare, educare le persone a vivere in questo nuovo scenario che prima l’umanità non conosceva. Educare a stare in uno scenario di conflittualità, di cambiamento accelerato, di enorme complessità. Occorre formare persone libere che riducono la paura e quindi tolgono il cemento per fare i muri».