“Se Letta me lo chiederà, ci penserò”. A chi gli domandava se si sarebbe candidato alle Politiche del 25 settembre, Achille Variati ha dato una risposta tipica del suo modo di essere uomo politico. In due frasette coordinate ha chiarito che, primo, dev’essere il capo a chiederglielo come noblesse oblige, e, secondo, che lui non ci pensa proprio a correre dietro alla poltrona. Ci penserebbe, semmai. E qui s’innesca un ulteriore contenuto (occulto) della sua lapidaria dichiarazione: ci penserebbe se ci fossero certe condizioni.
È troppo esperto e saggio Achille Variati per mettersi al livello dei politici più giovani, del loro comunicare fatto di post e di frasi a effetto, di autopromozioni. Lui viene dalla scuola e dalla tradizione della Democrazia Cristiana, quella degli anni d’oro, quella che, almeno in Veneto, aveva percentuali di elettori che solo la Lega, cinquant’anni dopo, è riuscita ad eguagliare.
Era una DC in cui non si parlava più di tanto, le dichiarazioni erano molto ponderate e i leader usavano comunque espressioni misurate e non sempre univoche. Il grosso dell’elaborazione politica era fatto curialmente, nei piccoli conclavi di corrente, di sezione, di confronto con la diocesi.
Poi i big, quelli nazionali come quelli locali, comunicavano le decisioni, le linee, le azioni, ma forbitamente e dando più peso ai sottintesi che alle parole. C’erano giornalisti che erano maestri dell’interpretazione autentica.
Il modo di comunicare di Variati: dalla DC a Bulgarini
Achille Variati ha frequentato questa scuola di comunicazione e si è sempre adeguato a quelle regole almeno fino a quando, ed ha stupito tutti, non ha scoperto, lanciato e, alla fine, perfino associato alla propria attività politica un comunicatore molto più giovane e di tutt’altra formazione: Jacopo Bulgarini d’Elci.
Anche il nuovo addetto stampa/portavoce/vicesindaco non è riuscito, però, ad attualizzare radicalmente il come e il dove del dichiarare di Achille. E, tutto sommato, fa più effetto oggi il suo esprimersi pacato, riflessivo e rispettoso in mezzo alla pletora dei politici dediti allo sproloquio, alla offesa, alla sintesi a qualunque costo.
Le esternazioni di Variati sono un profilo importante del suo modo di fare l’uomo politico, ma quel che conta e pesa è il suo curriculum. Non ha ancora settant’anni (supera la soglia l’anno prossimo) e, da quarantadue, è un protagonista della scena pubblica, elevandosi da quella della città via via a quella provinciale, regionale e nazionale.
Da Rumor a Zingaretti
Ha cominciato nella scia di Mariano Rumor ed è arrivato a Nicola Zingaretti. Il primo (“mi ha insegnato la differenza fondamentale fra essere popolare e populista”) è stato il suo mentore, il secondo lo ha indicato come sottosegretario in quota PD nel governo Conte-2.
Nel mezzo è stato consigliere comunale di Vicenza (prima elezione nel 1980), sindaco per tre volte, presidente della provincia, consigliere e vicepresidente del Consiglio regionale. Si è fatto strada anche fuori del Veneto: presidente dell’Unione delle Province d’Italia, consigliere di amministrazione della Cassa Depositi e Prestiti.
Nel suo cursus honorum mancano solo due tappe, quella in Parlamento e quella a Bruxelles. All’Europa ci è andato vicino nel 2019. Con 48.000 voti è il primo dei non eletti nella circoscrizione Nord Est, dopo Alessandra Moretti e il capolista Carlo Calenda. Già, proprio Moretti, un’altra sua scoperta che, poi, l’ha superato e staccato nella notorietà nazionale.
Se il leader di Azione sarà eletto in Parlamento il 25 settembre e, com’è prevedibile, opterà per Roma, lascerà la sua poltrona nel Consiglio Europeo proprio ad Achille Variati. E quest’attesa, un po’ lunga a dire il vero, spiegherebbe il semisilenzio che l’ex sindaco di Vicenza ha scelto negli ultimi tre anni. Suppongono, gli esegeti variatiani, che abbia preferito farsi un po’ da parte per aspettare il suo (nuovo) turno.
Certo l’appartarsi di Achille è sembrato a molti immotivato, anche perché così facendo ha privato il Partito Democratico veneto di un riferimento politico importante in un momento difficile. Ha abbandonato perfino il suo sito ufficiale, che è aggiornato a maggio 2019.
Il silenzio dopo le Europee. Tatticismo o vista lunga?
Perché stare ai margini? Se lo sono chiesto tutti e per un bel pezzo, attribuendogli magari mire e strategie anche stravaganti.
Variati, democratico di ferro (“Il Partito Democratico non è un autobus. Non puoi salire e scendere quando ti conviene” è una sua dichiarazione famosa) non è (più?) un lettiano. E questo forse spiega qualcosa della sua emarginazione. E pure del virgolettato con cui si apre l’articolo.
E siccome Achille, che ha vissuto tante elezioni, ha fatto i conti (laurea in matematica e lavoro in banca agli inizi) e ha capito che, con la legge elettorale vigente, sarebbe pressocchè impossibile la sua elezione in Parlamento. Che a Roma ci vada Giacomo Possamai… Meglio, insomma, prendere il posto di Calenda e starsene un po’ a Bruxelles, meno ancora di oggi sotto i riflettori, ma con la possibilità di aggiungere un tassello parlamentare alla sua formazione politica.
Poi, però, ci sono le amministrative nel 2023 e Variati potrebbe tornare utile come candidato sindaco del centro sinistra, specialmente in assenza di candidati forti che ad oggi non si intravedono. Il suo è un nome molto aggregante, ancora carismatico e stimato, competitivo nei confronti dello schieramento avversario che potrebbe perdere, proprio a causa delle elezioni nazionali, alcuni protagonisti della Giunta Rucco.
La candidatura per un Variati-quater, insomma, potrebbe sconvolgere il quadro politico vicentino. Verona e Padova, pur con peculiarità diverse da Vicenza, hanno indicato che, localmente, i pesi nazionali non contano affatto.
Fatte queste ipotesi, col silente Variati è impossibile fermarsi a queste…