Aim risanata ma lasciata troppo piccola per non essere schiacciata tra Agsm e Ascopiave

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La trevigiana Ascopiave, già quotata in Borsa, che detiene la maggiore rete di vendita e distribuzione di gas del Veneto (con la collegata Ascotrade è presente, e con forza, anche nel business dell’energia elettrica), ha un fatturato di 532 milioni, contro i 716 di Agsm e i 265 di Aim che sono state e potrebbero essere ad un passo dal fondersi con il 42% della nuova società ai vicentini e il 58% ai veronesi che ora, però, in fase di ridiscussione vogliono una quota maggiore e, di conseguenza, una governance più polarizzata sull’Arena che non sulla Basilica Palladiana.

«Aim e Agsm hanno business diversificati, i veronesi hanno un’esposizione debitoria (232 milioni a fine 2017) che potrebbe creare un po’ di problemi. Il debito di Aim, 92 milioni su 265 milioni di ricavi, non è una situazione meno delicata da trattare. Ascopiave dal canto suo ha le questioni non ancora risolte al piano di sopra di Asco holding, alla prese con una guerra senza esclusione di colpi tra i soci privati e alcuni sindaci dissidenti da un lato e il cda, dall’altro,  Inoltre l’idea non è quella di sommare, come fece a suo tempo Hera le diverse anime, elettricità, gas e rifiuti, ma di spingere sul segmento più redditizio e cioè il gas. Quindi si dovrebbero scorporare i business di Aim e Agsm che non rientrano nel perimetro della mono-utility del gas»: così scriveva Roberta Paolini su Il Mattino di Padova il 1° settembre aggiungendo che “il disegno di una grande utility del gas veneto porta la firma di Toni Da Re. Il segretario regionale della Lega sarebbe disposto a rinunciare a qualsiasi poltrona a Vicenza, ma vuole per uno dei suoi la presidenza di Aim, società che gestisce gas e elettricità, ma anche rifiuti e acqua, attraverso la controllata Acque Vicentine“.

Ma non finisce qui perché Nicola Carosielli su Milano Finanza del 28 luglio, dopo aver anticipato che dopo la nascita della superutility del Nord, la nuova Acsm Agam che vede al timone industriale A2A, “ora è venuto il tempo del Veneto, prossimo palcoscenico di una sfida fatta a colpi di fusioni e cambi di management, che vede protagoniste le tre utility più note del territorio: Agsm Verona e Aim Vicenza, da una parte, e Ascopiave dall’altra” scriveva che “la società di Pieve di Soligo (Treviso) è impegnata indirettamente in un processo di riassetto che sta coinvolgendo la controllante Asco Holding e che potrebbe portare a un ingresso molto importante, sia in chiave strategica sia in chiave finanziaria”. Infatti durante l’assemblea della capogruppo il 23 luglio, che “ha posto le basi per la liquidazione (a 3,75 euro per azione) delle quote di alcuni Comuni e del socio privato Plavisgas“, è stata resa nota “la notizia dell’interesse del fondo infrastrutturale F2i. Il 17 luglio, infatti, sul tavolo di  Giorgio Della Giustina, presidente di Asco Holding, era arrivata una lettera dal fondo guidato da Renato Ravanelli in cui questo si diceva intenzionato ad acquistare una quota di controllo. Addirittura pagando una cifra superiore ai 3,75 euro per azione. Nulla più che una manifestazione d’interesse, per ora, ma se l’operazione andasse in porto per l’utility sarebbe davvero la svolta. Non è, infatti, difficile comprendere le ambizioni di F2i, basta seguirne il modus operandi: aggregare e fare economie di scala, così da porre un primo mattone per costruire l’aggregatore veneto del futuro“. 

Queste citazioni fanno comprendere chiaramente una cosa, al di là delle lagnanze della vecchia maggioranza che con Raffaele Colombara paventa la svendita dell’Aim pubblica, dopo aver chiuso occhi e orecchie su quella da essa stessa effettuata della Fiera di Vicenza, e dei bilancini che Francesco Rucco sta usando per nominare al vertice di Aim il leghista, così lo definisce il GdV, Gianfranco Vivian, che bisognerebbe, però, capire quanto sia benvoluto da Toni Da Re visto che era il braccio destro di Manuela Dal Lago, leghista datata, ora senza tessera e di certo non in sintonia con Matteo Salvini, anche se a lei qualcosa Rucco potrebbe dovere visto che nella sua lista d’appoggio per le amministrative del 2013 l’attuale sindaco esordì  come “civico”.

Ebbene la cosa semplice che si capisce è questa: Aim Vicenza è stata risanata, anche se Rucco ancora è dubbioso su “quanto” lo sia stata realmente visto che con una mossa criticata per i suoi rinculi negativi (sulle trattative con Verona e sul rating dell’azienda che ha sottoscritto bond sui mercati internazionali) ha attivato un advisor per verificarlo, ma di sicuro la multiutility locale non ha potuto rendere corposo il progetto del rimpianto Paolo Colla che voleva farla crescere per acquisizioni di utility più piccole, in territori limitrofi a Vicenza, prima di andare a trattare fusioni ormai indispensabili per sopravvivere nel mercato delle gare in arrivo.

Non è dato, almeno al momento, sapere se questo progetto non sia decollato per freni premuti dalla guida politica di Achille Variati, che aveva un patto di ferro, su vari fronti, politici e aziendali, con l’amico Flavio Tosi, poi crollato insieme al precedente sindaco veronese, o per i dinieghi, di natura economica e/o “provinciali”  ricevuti dalle prime utility contattate (ad esempio la Pasubio Group dell’Alto Vicentino poi finita proprio tra le braccia di Ascopiave).

Sta di fatto che oggi, qualunque bivio scelga lungo la strada obbligata della fusione con altre realtà, Aim è troppo piccola perché la città e la comunità non perdano, dopo il disastro della Banca Popolare di Vicenza, l’ultimo dei propri fiori all’occhiello (questa volta un fiore pubblico come la Fiera e  eanche più strategico).

Per qualche lasso, minimo, di tempo chi dovrà condurre l’operazione, frutto del miope passato e che, pure se si limitasse alla vecchia fusione alle vecchie condizioni con Agsm, significherebbe perdere il controllo dell’azienda, celebrerà la triste e fatua vittoria del 19% di quote della Ieg di Rimini (“siamo soci di una realtà più grande!”) in cui è confluita la Fiera di Vicenza, per poi doversi guardare allo specchio per l’ennesima e ultima defaillance di un territorio.

L’ultima non perché di saranno altre operazioni di questo livello in cui si potrà “vincere” ma perché questa terra è popolata da grandi “lavoratori” abituati a non guardare oltre la propria attività e, quindi, a farsi rappresentare da chi sa solo regalare ad altri i frutti dei loro sacrifici in cambio di qualche spicciolo per se stessi e per un sistema basato sui privilegi della speculazione senza rischi e che i fatti dimostrano come fallimentare.