Artigianato in crisi nera, CGIA di Mestre: in dieci anni persi oltre 320 mila piccoli imprenditori. Senza botteghe non c’è futuro

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Giornata mondiale dell'ambiente, tra artigianato e tecnologia i brand del design promuovono la sostenibilità
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Il mondo dell’artigianato italiano continua a sprofondare. Secondo l’ultimo rapporto diffuso dalla CGIA di Mestre il 16 agosto 2025, in dieci anni il nostro Paese ha perso oltre 320 mila imprese artigiane, una media di 88 chiusure al giorno. Un’emorragia che colpisce tutti i comparti, dall’edilizia alla manutenzione, dalla manifattura ai servizi alla persona, con una gravità che non ha eguali in Europa (Fonte: CGIA Mestre – Rapporto “Crollo artigiani”, 16 agosto 2025).

I numeri parlano chiaro: dal 2014 a oggi le imprese artigiane sono scese da circa 1,36 milioni a poco più di 1,04 milioni. A soffrire di più sono state le ditte individuali e le microimprese a conduzione familiare, spesso travolte da burocrazia, concorrenza sleale, aumento dei costi energetici e calo della domanda interna.

La CGIA sottolinea come il declino non sia stato frenato neppure dagli incentivi legati al Superbonus o dalle misure di sostegno varate dopo la pandemia: “Molte aziende hanno chiuso per insostenibilità economica – spiega l’associazione – schiacciate tra tasse elevate, credito difficile da ottenere e margini di guadagno sempre più risicati”.

Il crollo ha conseguenze pesanti anche sull’occupazione: ogni chiusura di bottega porta via competenze, lavoro e servizi di prossimità. Nelle città, i quartieri perdono presidi sociali e punti di riferimento; nei piccoli comuni, interi territori restano senza idraulici, falegnami, elettricisti o calzolai.

Un dato allarmante riguarda anche la mancanza di ricambio generazionale: sempre meno giovani scelgono di avviare un’attività artigiana, scoraggiati dall’instabilità economica e dalla percezione di un lavoro troppo faticoso e poco redditizio.

Il rischio, denuncia la CGIA, è che “se non si interviene subito con misure strutturali di alleggerimento fiscale, riduzione della burocrazia e accesso agevolato al credito, l’artigianato italiano sia destinato a scomparire”.

Un futuro senza botteghe, senza laboratori e senza artigiani non sarebbe solo una perdita economica, ma anche un impoverimento culturale e identitario per l’Italia.

 

Editoriale | Senza botteghe non c’è futuro

Il nuovo rapporto della CGIA di Mestre sul crollo dell’artigianato italiano non è solo una tabella di numeri in calo: è il racconto di un Paese che rischia di smarrire una parte fondamentale di sé.
Ogni volta che una bottega abbassa la serranda, non perdiamo soltanto un servizio: perdiamo un pezzo di cultura, di identità, di memoria collettiva.

L’artigiano non è un semplice lavoratore autonomo: è colui che custodisce saperi antichi e li tramanda, che personalizza e rende unico ciò che produce, che risponde con il volto e con il nome alle esigenze delle famiglie e dei quartieri. La sua bottega è luogo di incontro, di comunità, di fiducia reciproca.

Eppure, oggi, queste microimprese vengono trattate come residui di un passato ingombrante. Tra burocrazia soffocante, tasse insostenibili, credito irraggiungibile e concorrenza spietata, molti artigiani non ce la fanno più. Non basta invocare l’innovazione: senza un sostegno strutturale, senza politiche che valorizzino chi sceglie di mettersi in gioco con le proprie mani e il proprio ingegno, continueremo ad assistere a una lenta desertificazione delle nostre città e dei nostri paesi.

Il dramma, poi, è il vuoto generazionale: i giovani non si avvicinano a mestieri che appaiono senza futuro. E allora dovremmo chiederci: che Paese saremo senza falegnami, senza fabbri, senza calzolai, senza restauratori, senza parrucchieri o sarti che ancora oggi tengono in piedi il tessuto sociale ed economico delle nostre comunità?

Il rischio non è solo economico. È sociale e culturale: senza artigiani perderemo la manualità, la qualità, la creatività che da sempre hanno fatto dell’Italia un modello nel mondo.

Sostenere l’artigianato non significa guardare al passato con nostalgia: significa scegliere il futuro che vogliamo costruire.
E forse, prima di celebrare la modernità fatta di giganti digitali e grandi opere, dovremmo ricordarci che un Paese si regge anche sulle mani callose di chi lavora ogni giorno in silenzio, e che senza quelle mani la nostra identità rischia di sgretolarsi.