
La sede dell’incontro odierno “CITTADINANZA. Il referendum dell’8/9 giugno e oltre” a cui sono intervenuti la moderatrice Martina Carone (Youtrend – Unipd), Victoria Karam (Fondatrice di Volti italiani che ha organizzato l’evento) e Pierfrancesco Majorino (Responsabile politiche migratorie PD, consigliere regionale e capogruppo PD Lombardia) è stata quella della Sala dei Pegni del Palazzo del Monte di Pietà, messa a disposizione di Volti italiani, ovviamente previo pagamento del relativo canone, da Giovanni Diamanti, presidente dell’omonima Fondazione, che, nell’introdurre l’evento, ha sottolineato come gli spazi del Palazzo saranno sempre di più a disposizione dei cittadini.

Dopo l’apertura di Diamanti e il saluto caloroso e partecipato di Massimiliano Zaramella, presidente del Consiglio comunale di Vicenza, Martina Carone, analista di YouTrend e docente all’Università di Padova, ha gestito l’incontro, ha detto lei stessa, “con un tono informale e diretto, utile ad affrontare un tema complesso: quello della cittadinanza e del referendum che il prossimo 8 e 9 giugno potrebbe modificarne, nelle intenzione dei promotori, l’accesso”.
Al suo fianco, Victoria Karam, italiana di origine brasiliana, fondatrice del progetto “Volti italiani”, e Pierfrancesco Majorino, responsabile nazionale per le politiche migratorie del Partito Democratico e consigliere regionale oltre che capogruppo PD in Lombardia.
Davanti ai presenti, tra cui anche Federico Formisano e Maurizio Franzina (PD), Luca Fantò (PSI), Giorgio Langella (PCI), e assente… la stampa tradizionale (ma in sala c’era Paolo Possamai, il direttore editoriale vicentino di NEM, Nord Est Multimedia)), abbiamo ascoltato tre voci con una visione e un messaggio chiaro: oggi, per troppi, essere italiani è ancora un percorso a ostacoli.
Maiorino: “una battaglia di civiltà”
“Trovo assurdo che oggi si debba ancora discutere di una legge che ostacola l’esercizio dei diritti civili”, ha esordito Majorino, riferendosi alla norma del 1992 che impone un’attesa minima di dieci anni per poter richiedere la cittadinanza italiana. Il quinto quesito del referendum abrogativo propone di ridurre questo termine a cinque anni, tornando alla precedente normativa. Un ritorno al buon senso, secondo il consigliere dem: “Non è solo una questione di anni, ma di riconoscimento della vita vera delle persone. Io accompagno mia figlia alla scuola materna e vedo bambini che, pur essendo cresciuti in Italia come lei, per lo Stato non sono suoi pari. Perché dobbiamo accettare l’esistenza di bambini di serie A e bambini di serie B?”.
Majorino ha sottolineato il valore politico e culturale del referendum, anche al di là dell’esito: “È una tappa fondamentale per sfondare il muro dell’inerzia legislativa. Ma soprattutto è un modo per dare voce a chi finora è stato escluso, riconoscendo una realtà che non si può più ignorare”.
Karam: “essere italiani non può essere un regalo”
Victoria Karam, nata a Salerno da genitori brasiliani, ha raccontato la propria storia: scuola, università, lavoro, tutto in Italia. Eppure, la cittadinanza l’ha ottenuta solo a 22 anni e mezzo. “Chi nasce qui da genitori stranieri deve attendere la maggiore età e ha solo un anno di tempo per fare richiesta. Io non lo sapevo, e come me tanti altri. Così, ho dovuto ricominciare da zero, tra burocrazia, costi e attese interminabili”.
La sua iniziativa, “Volti italiani“, raccoglie volti e storie di chi si sente italiano da sempre ma non lo è giuridicamente. “La cittadinanza cambia la vita. Senza, non puoi viaggiare liberamente, accedere a carriere pubbliche, votare o candidarti. E il paradosso è che, mentre noi aspettiamo anche vent’anni, ci sono discendenti di italiani emigrati che ottengono la cittadinanza senza mai aver vissuto un solo giorno qui. Quella cittadinanza non può essere un premio o un’eredità casuale. Deve essere il riconoscimento di una realtà vissuta”.
Una sfida anche contro l’astensionismo
Il timore che il quorum non venga raggiunto aleggia sull’intero fronte del “sì”. E l’astensionismo, in alcuni ambienti politici, è stato addirittura promosso come strategia. Majorino non ha esitato: “Invitare all’astensione, come ha fatto anche il presidente del Senato, Ignazion La Russa, è un atto grave. Vuol dire alimentare la sfiducia verso le istituzioni e perpetuare una distanza già insopportabile tra cittadini e Stato. Ma attenzione: anche una bassa affluenza ha un significato politico. E noi dobbiamo affrontarla con coraggio e determinazione”.
Il referendum, ha ribadito l’esponente PD, non è la fine del percorso, ma una tappa. In Parlamento giace una proposta di legge organica che prevede anche lo ius soli per chi nasce in Italia da genitori residenti da almeno un anno, e lo ius scholae per chi conclude un ciclo scolastico. “Non è una concessione, è un diritto. E se non parliamo noi, resterà solo la voce di chi vuole chiudere ancora una volta la porta in faccia a chi bussa con dignità e storia”.
Una questione di giustizia, non di numeri
L’incontro si è chiuso senza retorica, ma con la consapevolezza che i numeri, in questo referendum, conteranno eccome. Non solo quelli delle firme raccolte e dei votanti, ma soprattutto quelli delle vite sospese. Le storie raccontate da Victoria Karam, come quella del ragazzo egiziano Samir, che ha visto sfumare un sogno paralimpico per un cavillo burocratico, sono più eloquenti di mille statistiche.
Il referendum dell’8 e 9 giugno parlerà di loro. Sarà una scelta che riguarda non solo chi oggi non ha la cittadinanza, ma anche chi la possiede e deve decidere se riconoscere, finalmente, che essere italiani non è solo una questione di sangue, ma di vita vissuta.