
(Articolo sul lavoro delle escort da VicenzaPiù Viva n. 298, sul web per gli abbonati)
Quando lo Stato fa finta di non vedere ma incassa.
A Vicenza come a Milano, a Roma come a Napoli. C’è un’Italia sommersa che lavora, fattura, paga le tasse. Eppure, non ha diritto a tutele previdenziali reali, viene guardata con sospetto e spesso anche stigmatizzata.
Stiamo parlando del mondo di chi opera come accompagnatrice, escort, entertainer – a volte con espliciti riferimenti sessuali, altre no – inquadrata sotto un codice ATECO che, per chi non lo sapesse, recita: “altre attività di servizi per la persona nca”, ovvero “non classificabili altrove”.
Un codice ombrello – 96.99.92 – che, nel suo vuoto di definizione, permette di far rientrare attività diverse: cartomanti, operatori energetici, consulenti di seduzione. E sì, anche escort. Ma con un patto implicito: non lo dite troppo forte.
La legge che non c’è (o meglio, che c’è ma non funziona)
Dal 1958, in Italia, è in vigore la Legge Merlin. Abolì le case chiuse e rese illegale lo sfruttamento della prostituzione altrui, senza però vietare la prestazione sessuale a pagamento in sé, se esercitata autonomamente. Da allora, lo Stato italiano è rimasto in un limbo: non legalizza, non regola, ma tollera. Purché il tutto rimanga sommerso, informale o – in casi sempre più frequenti – travestito da attività “di compagnia”.

Una Partita IVA per (non) essere viste
La via “legale” per lavorare da freelance nel settore è aprire una Partita IVA sotto il codice 96.99.92. Alcuni commercialisti, interpellati per questo articolo, confermano che le pratiche sono regolari: «La dicitura è neutra, non è nostra responsabilità sapere cosa fa di preciso il cliente. Se rispetta le regole fiscali, non ci sono problemi». Ma è davvero così semplice?
Abbiamo parlato, in forma anonima, con “Sara”, 38 anni, che lavora come escort indipendente a Vicenza. «Fatturo, pago le tasse, eppure non ho accesso a una copertura sanitaria adeguata. Se vado all’INPS e dico cosa faccio, mi guardano come se venissi da Marte. Il bello è che allo Stato vanno bene i miei soldi, non io.»
Un paradosso crudele: se da una parte il lavoro sessuale autonomo non è reato, dall’altra nessun ente pubblico sembra sapere come trattarlo.
L’assurdo delle tutele Il codice ATECO permette, in teoria, l’iscrizione alla gestione separata INPS. Ma qui iniziano i problemi. Nessuna cassa previdenziale riconosce in modo esplicito il mestiere. Niente maternità, malattia, disoccupazione. Anche INAIL, che dovrebbe coprire gli infortuni sul lavoro, resta fuori dal campo.
E in un mestiere che comporta esposizione fisica e rischi, il paradosso è lampante.
Escort e agenzie: il confine è lo sfruttamento
Attenzione però: se una escort lavora con un’agenzia o un intermediario, siamo fuori legge. Si entra nel campo dello sfruttamento della prostituzione, reato penale previsto dalla Merlin. Eppure molte piattaforme online fanno esattamente questo, guadagnando sugli annunci a pagamento. Nessuna interviene.
«C’è una schizofrenia totale – commenta un avvocato penalista di Padova – Le escort sono libere professioniste solo fino a quando non disturbano. Poi, se c’è un problema, diventano invisibili o criminalizzate.»
Il business (che lo stato finge di non vedere). Secondo alcune stime del Codacons, il giro d’affari del sex work autonomo in Italia – esclusi i racket – supera i 4 miliardi di euro l’anno. In gran parte sommerso. Ma negli ultimi anni, con l’apertura massiccia di Partite
IVA in questo settore, qualcosa è cambiato. Non esistono dati ufficiali disaggregati, ma i numeri del codice 96.99.92, in costante crescita, lo dimostrano.
«Chi lavora con trasparenza paga fino al 20-25% del reddito in tasse», conferma “Laura”, 41 anni, in attività da oltre un decennio.
«Eppure siamo ancora considerati fuorilegge. Come se la morale contasse più del fisco.»
Una mappa a ostacoli
Aprire una Partita IVA come “servizi alla persona nca” è semplice: si sceglie il regime
fiscale (forfettario, nel 99% dei casi, per chi fattura meno di 85.000 euro), si dichiara il codice 96.99.92. Costo medio tra i 200 e i 500 euro per avviarla. Ma i problemi iniziano dopo. Le banche, ad esempio, spesso rifiutano finanziamenti. Le assicurazioni non coprono i rischi. Le piattaforme di pagamento online bloccano gli account. «Mi hanno chiuso il conto PayPal perché il mio sito aveva contenuti “per adulti”», racconta ancora Sara.
Politica e ipocrisia: chi decide?
La verità è che questo settore esiste, cresce, contribuisce al PIL e viene ignorato dalla politica. Nessun partito ha il coraggio di mettere mano a una riforma del lavoro sessuale. Troppo impopolare, troppo scomodo. Anche se in Europa sono sempre di più i paesi che regolano o quantomeno riconoscono questo tipo di attività. Intanto, in Italia, il lavoro sessuale resta un’attività “non classificabile altrove”. Come dire: lo sappiamo che esisti, ma facciamo finta di no.
Ringraziamo per la consulenza tecnica il dr. Robert Guglielmi, commercialista in Vicenza.