Cosa resterà dei 15 anni di Luca Zaia?

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Zaia con le torce olimpiche di Milano-Cortina 2026
Zaia con le torce olimpiche di Milano-Cortina 2026

Il fascino del grande comunicatore capace di ergersi a portavoce dei veneti costruito con un controllo feroce sull’informazione. Fine di un’epoca senza un vero bilancio.

I quindici anni di governo del Veneto di Luca Zaia meriterebbero un bilancio accurato che invece nessuno si sta arrischiando a fare. Quindici anni sono un’era geologica in politica, la loro fine segna un capolinea: interrogarsi su quello che è avvenuto è fondamentale per prepararsi a quello che avverrà, tanto più per chi vuole impostare un’azione amministrativa e si candida a farlo. Notiamo invece che la campagna elettorale sta viaggiando sulla continuità del quindicennio di Zaia, tanto da parte della maggioranza che la rivendica, quanto dell’opposizione che continua a subirla. Ci mancherà qualche diottria ma non vediamo tentativi di passare al setaccio il quindicennio che ci lasciamo alle spalle, valutandolo senza paura, per separare le cose positive dalla zavorra delle mancate realizzazioni.
Stranissimo che nessuno ci provi, ma anche comprensibile. Il consenso bulgaro che il presidente Luca Zaia ha ottenuto, mai raggiunto da nessuno, è un riconoscimento della sua capacità di creare motivazioni, di orientare l’opinione pubblica, di ergersi a portavoce dei veneti accomunandoli in un comune sentire, oceanico anche se privo spesso di approdi concreti.

Luca Zaia in una delle sue conferenze stampa
Luca Zaia in una delle sue conferenze stampa

Sfidare il consenso di cui gode, avventurandosi in un bilancio che forzatamente deve toccare anche aspetti negativi (che bilancio sarebbe altrimenti?), espone a grossi rischi. Dietro la facciata rassicurante e i comportamenti a presa universale, il presidente del Veneto nasconde un controllo ferreo della comunicazione.
Non gradisce il contraddittorio e meno ancora il dissenso. Ha la querela facile e non esita ad usarla come sistema per reprimere le critiche che lo toccano direttamente. Querele spesso temerarie le sue, che sono finite archiviate, ma hanno obbligato i destinatari a trovarsi un avvocato con tutto quel che ha significato, cominciando dal portafoglio.
Possiamo documentarlo con prove circostanziate e dirette, ma non siamo gli unici. Ai tempi del Covid, Pietro Gonella, ex dirigente della sanità veneta, osservava che le quotidiane conferenze stampa del presidente Zaia avevano «trasformato televisioni e giornali in ossequiosi paggetti del governatore sovrano: viviamo in un’epoca in cui trionfa una pericolosa massificazione mediatica con un governatore che controlla tutta la comunicazione, nessuno può ardire di contraddirlo altrimenti viene colpito da un’abiura».
La critica non è mai stata un mestiere facile, ma un conto è avere cittadinanza e un altro essere demonizzati, in qualche modo additati al pubblico ludibrio per aver offeso il presunto onore del manovratore.
Questo è il motivo per il quale anche il nostro artigianale tentativo di bilancio del quindicennio zaiano non contiene riscontri con nomi e cognomi. Gli interlocutori parlano liberamente solo se non vengono citati. Questa è l’aria che tira.

Salvini e Zaia
Il ministro dei trasporti Matteo Salvini e il Presidente del Veneto Luca Zaia a Spresiano, nel Trevigiano, in occasione dell’inaugurazione di un nuovo tratto della Pedemontana veneta, 06 aprile 2023.
ANSA/ UFFICIO STAMPA MATTEO SALVINI
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Dov’è finita l’autonomia differenziata

Parlare con i destinatari dell’azione di governo della Regione è l’unico modo per misurarne concretamente il successo o l’insuccesso. Per la verità ce ne sarebbe un altro: partire dal programma elettorale con cui Luca Zaia si è presentato alle ultime elezioni regionali, quelle del 2020, ottenendo il 76,79% del consenso e verificare quanto è stato realizzato.
Purtroppo, questa operazione risulta impossibile. Il programma è un testo di 168 pagine con dichiarazioni di intenti, illustrazione di aspettative, collage di riferimenti, discorsi da massimi sistemi.
Finisce addirittura con una bibliografia in cui viene citato anche l’Onu. Insomma, è tutto meno che un programma di governo, se per programma di governo intendiamo un ruolino di marcia che fissi gli obiettivi e indichi percorsi e scadenze per raggiungerli. A dispetto della fiera rivendicazione di Luca Zaia in premessa, che «il Veneto è terra del fare più che quella del parlare».
Questo presunto programma offre comunque una traccia che proviamo a seguire. Il Veneto è diviso in 7 capitoli: Veneto autonomo, Veneto vincente, Veneto eccellente, Veneto attraente, Veneto sostenibile, Veneto connesso, Veneto in salute.
Non occorre dire che in cima agli obiettivi dell’amministrazione Zaia c’era il raggiungimento dell’autonomia differenziata per il Veneto. Il presidente ne ha fatto la motivazione dell’intero quindicennio, ha portato i veneti a votarla il 22 ottobre 2017, avrebbe voluto anche il quarto mandato (non il terzo!) per continuare ad agitare la bandiera. Purtroppo, se ne va senza averla piantata in cima all’obiettivo che resta ancora molto lontano, nonostante le assicurazioni del contrario profuse a man bassa nell’ultimo quinquennio. La delusione è tale che, fateci caso, non ne parla più. Anche Luigi Bacialli, direttore di Rete Veneta e suo grande sostenitore, ha spento il contatore dei giorni che mancavano al fatidico evento e campeggiavano in alto a sinistra dello schermo dell’emittente.
Se parliamo con il costituzionalista Mario Bertolissi, che lo scorso gennaio ha patrocinato la Regione Veneto davanti alla Corte Costituzionale nel confronto con i referendari abrogazionisti, registriamo la stessa delusione. Bertolissi cita tutti i tentativi di riforma costituzionale falliti, da Berlusconi a Renzi, a fronte invece di Roma Capitale che si avvia a diventare la ventunesima regione d’Italia senza che ci sia stato nessun referendum popolare a chiederla. «Cosa vuoi fare se hai tutto il Paese contro?», è la sua amara conclusione.

Giampietro Avruscio
Giampietro Avruscio

Ma è una delusione relativa, come professionista Bertolissi si trova dalla parte che ha vinto: la Corte costituzionale gli ha dato ragione respingendo la richiesta di referendum, anche se ha confermato che per arrivare all’autonomia differenziata il percorso dovrà essere molto più laborioso di quello previsto dal ministro Calderoli. E di quello sognato da Palazzo Balbi con la richiesta massimalista e sbrigativa di un passaggio di consegne per tutte le 23 materie delegabili.
La delusione del presidente del Veneto è senz’altro più cocente: di fronte non ha la Corte costituzionale che lo ha frenato ma un governo amico dove siede il capo del suo partito che appare molto più impegnato sul Ponte di Messina che sull’autonomia differenziata. Ma anche questo è un finale scontato: Luca Zaia non ha mai portato all’incasso nel confronto interno con Matteo Salvini il suo 76,77% di consenso, come avrebbe potuto e forse dovuto fare. Non l’ha fatto pesare sulla scena nazionale. Un tesoretto sprecato, oggi non serve più a niente.

Grande uomo di marketing

Al secondo posto del programma di governo Luca Zaia aveva inserito i campionati mondiali di sci a Cortina del 2021, le Olimpiadi invernali del 2026 e le colline del prosecco nominate dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità, come fattori di crescita per tutto il Veneto. Gli obiettivi sono stati raggiunti (veramente l’Unesco si era già pronunciata nel 2019) e il traino per l’economia veneta c’è stato e ci sarà, stando alle stime dell’Università di Ca’ Foscari: le Olimpiadi del 2026 porteranno una crescita di 839 milioni del Pil, 13.800 nuovi posti di lavoro, 226 milioni di maggior gettito fiscale. Cifre già anticipate dal programma del 2020, al netto della verifica e delle polemiche che hanno poi accompagnato alcuni interventi particolarmente impattanti sul territorio. Polemiche sempre strumentali, secondo Zaia. In ogni caso gli va riconosciuto di essere stato un grande uomo di marketing.
E un campione assoluto del racconto: dove non ci sono cifre abbondano le descrizioni e trovare riscontri è un bel grattacapo. Nel capitolo “Veneto eccellente” Zaia auspicava «un nuovo grande Rinascimento con il rilancio della formazione a misura di piccoli imprenditori
per continuare ad emergere nel mercato globale». Peccato che del Politecnico del Veneto di cui si parla da anni, nulla si sappia.

Il ministro per le autonomia Roberto Calderoli con Luca Zaia
Il ministro per le autonomia Roberto Calderoli con Luca Zaia

Il programma è continuamente infiorettato di autocompiacimenti: «La resilienza, lo spirito di sacrificio, la voglia di intraprendere fanno parte del DNA dei veneti, conosciuti in tutto il mondo come esempio di laboriosità e competenza… Dobbiamo fare del Veneto una regione ambìta in cui vivere e lavorare».
Che dire?
«Contro la burocrazia è di fondamentale importanza la costituzione di un Osservatorio sugli adempimenti burocratici»: l’hanno fatto? Non se ne ha notizia, come di altri Osservatori citati dal programma.
«Botteghe di vicinato, stiamo assistendo ad un cambio radicale della struttura commerciale»: stiamo assistendo da decenni ormai.
«Politiche per promuovere le attività commerciali attraverso la promozione delle aggregazioni di imprese»: è accaduto qualcosa o tutto è stato lasciato all’iniziativa privata?
«Si inserisce in questo ambito il manager di distretto, una figura chiave a disposizione di botteghe e negozi per attrarre investimenti e finanziare attività corali in grado di rivitalizzare i centri urbani»: qualcuno ha visto questo manager? La domanda vale anche per i mini-bond e i basket bond regionali, promessi come forma di finanziamento alle piccole imprese.
Per il sistema fieristico presentato come una potente risorsa vengono citati il Vinitaly e la Fiera Cavalli ma intanto alla Fiera di Padova stanno vendendo i capannoni e la fiera di Vicenza da tempo è diventata riminese. Le aziende municipalizzate del Veneto che potevano generare risorse finanziarie se si fossero messe assieme, sono andate da tempo con la Lombardia o con l’Emilia Romagna. La diaspora era cominciata già con Giancarlo Galan ma da allora il ruolo della Regione nel governo dei processi è fortemente scaduto. Qualcuno prima o dopo confronterà i due quindicenni di governo regionale e ne trarrà qualche conclusione.
Luca Zaia può vantare la realizzazione della Pedemontana, ereditata peraltro dal suo predecessore e portata a termine tra mille difficoltà, con un lascito debitorio milionario che lascia esposto il Veneto per qualche decennio. L’alta velocità invece l’ha lasciata alla gestione dei sindaci delle città capoluogo.

Una proposta per la sanità

La sanità veneta, orgoglio di tutti i presidenti del Veneto, era al primo posto in Italia nel 2018, ricordava Luca Zaia nel suo programma. Non poteva dire del 2019 perché da quell’anno il Veneto ha cominciato a perdere posizioni. I confronti sono difficili perché i criteri di valutazione non sono sempre omogenei tra le regioni, ma i numeri assoluti non lasciano scampo: nel Veneto mancano 1.300 medici e 5.000 tra infermieri e tecnici. Non perché ci sia stata una errata programmazione dei corsi di laurea, come si narra. I medici ci sono: l’ha detto Giampietro Avruscio, direttore di angiologia al Policlinico di Padova, presidente dei primari del capoluogo e responsabile per Forza Italia della sanità veneta, ad un convegno a Milano: «I medici si trovano, ma sono nelle case di cura private o all’estero. Quanti medici italiani sono in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra? Ma io non trovo nei nostri ospedali medici inglesi, francesi, tedeschi. Perché? Per la scarsa valorizzazione che hanno i nostri operatori sanitari all’interno dei nostri ospedali. Ci sono medici ospedalieri che si licenziano per andare a fare i medici del territorio e non succede viceversa.
Eppure, tutti noi medici quando usciamo dall’università abbiamo la stessa laurea. Però quando si va a lavorare, cosa succede? Il territorio è in mano ai liberi professionisti, medici di medicina generale, specialisti ambulatoriali, pediatri, guardia medica, tutti convenzionati con il sistema sanitario nazionale.
Gli unici dipendenti pubblici sono gli ospedalieri. Bisogna avere il coraggio di arrivare ad un contratto unico, sia per il medico privato convenzionato che per il dipendente. Un contratto unico metterebbe al centro della sanità il paziente e non l’organizzazione, com’è oggi. Su tutti i documenti, comunali, regionali, statali, troviamo scritto che il bene del paziente è al centro del sistema sanitario nazionale. Ma è la verità? No, al centro c’è l’organizzazione, il paziente si trova ai margini, ci gira attorno, deve telefonare per prenotare, non trova la linea, quando ha la prestazione deve tornare dal medico per prenotare altri esami e avanti così. Dovrebbe essere la struttura a prendersi in carico il paziente e dargli tutti gli appuntamenti, non il paziente a girare intorno all’organizzazione.
È questa la vera centralità, la presa in carico il paziente da parte di tutti quelli che collaborano con il sistema sanitario nazionale, non solo dell’ospedale. Il contratto unico farebbe questo».
Il difetto come al solito sta nel manico, ma stavolta il manico non è a Venezia ma a Roma.