Cosa resterà della parola scritta?

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parola scritta
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(Articolo da VicenzaPiù Viva n. 5, sul web per gli abbonati tutti i numeri, ndr).

Che cosa succederà, nell’era digitale e del dominio di internet, le tracce lasciate dagli scrittori prima e dopo la creazione delle loro opere? Potremo disporre ancora delle prove e dei percorsi mentali come quelli cartacei, ricchi di annotazioni, revisioni, divagazioni, ripensamenti, disegni e correzioni?
Avremo ancora la possibilità leggere gli scambi epistolari, considerato che anche le lettere si sono trasformate in scambi digitali di pensieri ed emozioni? Se è vero che non è facile rispondere con certezza, è altrettanto assodato che gli studiosi stanno, con sempre maggiore frequenza e consapevolezza, affrontando il problema; tant’è che la questione è stata al centro di un convegno internazionale ospitato dall’Università di Pavia nel dicembre del 2013 dal titolo Carte immateriali. Filologia d’autore e testi nativi digitali. Quello che è certo è che al giorno oggi sulla carta non si scrive più nulla o quasi, così come sempre meno si legge sulla carta, come testimonia, in maniera indiretta, il drammatico calo del numero delle edicole in Italia. Una quantità sempre maggiore di documentazione digitale è conservata (non custodita, che è altro discorso) negli hard-disk dei computer.
Molto poi finisce nel cloud, un collettore di memoria esterna, di proprietà di aziende private (che non durano all’infinito), protetto da password. Infine, l’obsolescenza del software gioca un suo ruolo, perché già le piattaforme digitali di 20 o 30 anni spesso non vengono più lette dai sistemi informatici attuali.
Era sufficiente fare una prova con un file di Word registrato su un CD 20 anni fa per rendersi perfettamente conto.

Quanto dura la parola materiale?

Seguendo l’evoluzione della scrittura nell’arco di quasi 6.000 anni, si può osservare che in determinate condizioni il foglio di papiro, la pergamena e la carta possono durare parecchi secoli o millenni, mentre le scritte impresse su epigrafi di pietra o tavolette di argilla sfidano ancor di più il tempo. Non si può dire lo stesso dei dispositivi multimediali di memorizzazione, sui quali pesano l’usura e l’invecchiamento del materiale. Infatti il Canadian Conservation Institute ha pubblicato una ricerca sull’argomento che ha concluso: «La longevità è incerta e porta a una diffusa mancanza di fiducia da parte delle biblioteche e degli archivi», dato che, secondo gli studi, «la durata può variare da un qualche anno a più di 200 anni»; Quando i cd apparvero sul mercato (a costi esorbitanti) sembra- va che il problema della conservazione dei dati fosse risolto, salvo accorgersi altrettanto rapidamente, che non era così. In ogni caso per leggerli non bastano i nostri occhi, servono programmi appositi e la tecnologia cambia velocemente.
Questo vale anche per le foto digitali che ciascuno di noi scatta con gli smartphone e per ciò che scriviamo nella posta elettronica o sui social.
Non per nulla molte istituzioni, inclusa la Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti, forniscono online istruzioni sul modo in preservare i propri ricordi digitali. E sempre più si diffonde l’abitudine di stampare i ricordi migliori al fine di garantirne la conservazione
nel tempo.
I nostri figli e nipoti difficilmente troveranno in qualche cassetto o in qualche libro le vecchie foto e lettere dei familiari, come capitava prima ai loro genitori e nonni.

E in letteratura?

Se ci addentriamo nel campo della filologia, le domande poste all’inizio non sono affatto banali né premature (condivise per altro su altri fronti, per esempio nella ricerca storiografica su fonti digitali). Il senso di quei quesiti può capirlo meglio chi poche settimane fa, proprio a Pavia, ha visitato la mostra Scartafacce, promossa dal Centro di Ricerca sulla Tradizione Manoscritta di Autori Moderni e Contemporanei dell’Università locale (Centro manoscritti), all’interno della quale si conservano molti documenti originali.
Nella mostra era esposta una piccola parte di una svariata quantità di carte a disposizione: fogli usciti dalle macchine per scrivere oppure redatti a mano.
Con appunti e segni – quasi glosse di medievale memoria – vari vergati ovunque; dalle cartine delle sigarette ai moduli riciclati e agli “strappi” di carta igienica. Tutti supporti sottratti a destini più prosaici, per ospitare ispirazioni e riflessioni; colmi di note, ripensamenti, sfoghi e persino di dichiarazioni d’amore. Ebbene, tutto ciò, nell’era digitale dell’hardware e del software, che fine farà? Si può scarabocchiare un disco rigido, il cloud, i byte, una pen-drive? Non si può, ovvio.
Eppure per decine di secoli abbiamo scritto “fisicamente”, almeno fino al momento in cui abbiamo sostituito, a partire dagli anni Ottanta del Novecento e soprattutto da quando esiste il web, la fisicità della scrittura materiale, capace di condizionare elaborazione e creazione, con quella evanescente e immateriale: questa ha una consistenza virtuale sui monitor e un secondo dopo può sparire per sempre nei cestini elettronici, con l’unica e magra consolazione che si salvano gli alberi da cui viene la cellulosa. Addio a bozze, epistolari, appunti, ripensamenti, disegnini; tutti elementi che portavano le tracce della mano e della mente dell’autore.
Chi scrive ha redatto la propria tesi di laurea analizzando il lavoro filologico di uno storico di inizio Novecento. Ebbene, di ogni saggio erano conservate le versioni precedenti e alla fine era possibile ricostruire il pensiero dell’autore in ogni minimo particolare, potendo leggere nelle successive redazioni il mutare del suo pensiero.
Addio dunque nell’era contemporanea alle prospettive di di ricerca filologica, che per quel che riguarda gli ultimi 30 anni, ha visto scomparire la materia prima “tradizionale”. Il rischio della scomparsa del materiale digitale partorito dagli scrittori italiani contemporanei
può cancellare non solo il lavoro dei filologi, ma può cancellare la memoria e la cultura collettive.
Il convegno Le carte immateriali è stato concepito dal Centro manoscritti, nell’ambito dell’Autografestival 2023, proprio per affrontare la crescente necessità di un’adeguata gestione e tutela di quel materiale digitale.
Auguriamoci che i frutti di quei colloqui possano servire a un totale ripensamento in materia, per evitare che la nostra memoria svanisca in un mare di evanescenti byte…