
“Imprenditori e ambiente non possono convivere pacificamente all’interno dell’attuale modello economico”: il CoVePA, Coordinamento Veneto Pedemontana Alternativa, esprime questo concetto al termine di una riunione di aggiornamento sui pfas, in un comunicato a firma dei portavoce Matilde Cortese, Massimo M. Follesa ed Elvio Gatto. Che profitto e tutela della salute possano andare nella stessa direzione, secondo il CoVePA è un’illusione: “Quando gli imprenditori chiedono meno regole, meno vincoli e meno controlli – si legge nel comunicato – non difendono l’innovazione: difendono la libertà di inquinare, di esternalizzare i costi sociali e ambientali, e di scaricarli sulle comunità locali e sui territori. Valgano per questi aspetti il recente comunicato della CGIL del Veneto sulla vicenda PFBA. La riprova sta nella ultra decennale omissione della bonifica del sito Miteni a Trissino, che continua a inquinare la falda. Nella conferenza dei Servizi presieduta dal Sindaco di Trissino della Lega, Davide Faccio, siedono ancora rappresentanti delle più grandi imprese i cui dirigenti sono stati condannati in corte d’assise cumulando decine di anni, e nessuno batte cassa a queste multinazionali perché paghino la bonifica”.
Quindi, secondo il CoVePA non si tratta più di conciliare impresa e ambiente, ma di ridefinire la responsabilità sociale e ambientale degli imprenditori: “Troppi imprenditori continuano a operare secondo logiche di corto respiro, inseguendo il profitto immediato e ignorando le conseguenze sulla salute, sul lavoro e sul territorio. Come ricorda anche la CGIL, non può esistere giustizia ambientale senza giustizia sociale”. Insomma, la sostenibilità non può essere una strategia di marketing, ma deve tradursi in investimenti reali in sicurezza, innovazione pulita e rispetto dei diritti.

A proposito di questo, sono significative le intercettazioni della Procura di Vicenza sul cantiere del tunnel di Malo–Castelgomberto, lungo la Pedemontana Veneta: “Dalle intercettazioni di qualche anno fa, emergono condizioni di lavoro disumane e pratiche aziendali prive di qualsiasi attenzione alla sicurezza e alla salute del personale, oltre al rispetto delle norme di costruzione. Ancora più grave è l’accertamento che l’ambiente di lavoro risultava saturato da concentrazioni di PFBA (acido perfluorobutanoico) pari a 263.000 nanogrammi per litro, sostanze tossiche che venivano spruzzate insieme al cemento proiettato sulla volta delle gallerie. Le nostre ipotesi conducono a ipotizzare un bilancio di massa dei PFBA in quei calcestruzzi pari a milioni di kg. È la dimostrazione di come, in assenza di controlli e responsabilità, la ricerca di una falsa produttività a ogni costo, possa trasformarsi in un disastro sanitario e ambientale.”
Di fronte a fatti di questa gravità, il CoVePA ha richieste ben precise: la tutela dei lavoratori esposti; un controllo pubblico effettivo; la cessazione del depotenziamento di ARPAV e il cambio dei suoi vertici regionali; l’assunzione di responsabilità diretta da parte delle imprese e una trasparenza piena nei processi produttivi. “Non può esserci transizione ecologica – dice ancora il Coordinamento – se le imprese continuano a operare in assenza di vincoli ambientali e con logiche di profitto a breve termine. La sostenibilità deve diventare un vincolo economico e civile, non un’opzione facoltativa. Avere cura della sostenibilità e della sicurezza ambientale all’interno delle imprese che operano lungo le catene produttive dove sono presenti PFAS significa anche rendere i lavoratori prime sentinelle nel monitoraggio e nella prevenzione dell’inquinamento”. Insomma, gli imprenditori devono farsi carico del controllo delle emissioni, della tracciabilità delle sostanze e della loro diffusione nelle varie matrici ambientali – aria, acqua, suolo – lungo tutte le fasi produttive, dalla fabbrica alla logistica, fino alla costruzione delle infrastrutture. Solo un sistema imprenditoriale che riconosca la propria responsabilità verso il territorio può contribuire a costruire un futuro in cui sia possibile risanare e curare in modi sostenibile l’intera comunità inquinata. “Ignorare questi segnali – conclude il CoVePA – significa continuare a riprodurre un modello di sviluppo che avvelena, consuma e distrugge ciò che dovrebbe proteggere: la vita delle persone e l’ambiente in cui vivono.








































