Da ribalta per arresto a Vicenza a bisbiglii su suicidio in carcere a Treviso del 17enne Danilo Rihai: MovimentiAMOciVicenza si interroga

350
Danilo Rihai, il 17eene tunisino morto dopo tentativo di suicidio in carcere a Treviso
Danilo Rihai, il 17eene tunisino morto dopo tentativo di suicidio in carcere a Treviso

 

Grande eco, pochi giorni fa, per l’arresto in centro a Vicenza di un giovane tunisino di 17 anni, Danilo Rihai, accusato di una serie di tentati furti e bloccato in contrà Santissimi Apostoli dopo un intervento delle forze dell’ordine con il taser. La notizia occupò le prime pagine e scatenò commenti a raffica. Molto meno rumore, invece, per la tragedia che ha seguito di pochi giorni quell’episodio: il ragazzo è morto all’ospedale di Treviso dopo un tentativo di suicidio nel carcere minorile.

Sulla vicenda interviene Emanuela Natoli, presidente di MovimentiAMOciVicenza, che chiede chiarezza non solo sulle circostanze del caso, ma anche sul sistema di tutela dei minori stranieri non accompagnati: «Questo ragazzo viveva una condizione di forte disagio, con problemi che richiedevano attenzione e sostegno — sottolinea Natoli —. Quali interventi sono stati attivati per il suo percorso di accoglienza e integrazione? Perché si è optato per il collocamento in un istituto penale, e non in una struttura specializzata capace di offrire supporto psicologico e sociale?».

Natoli ricorda che “molti minori portano con sé traumi pesanti, frutto di viaggi e condizioni di vita difficili” e si chiede se nelle decisioni prese “si sia tenuto conto di questo aspetto”.

Non si tratta, precisa, di giustificare eventuali comportamenti violenti o reati, ma “di non liquidare questa vicenda con indifferenza: è morta una persona, e ogni vita merita rispetto e dignità”.

La presidente di MovimentiAMOciVicenza si interroga anche sull’efficacia dei progetti destinati ai minori stranieri non accompagnati: «È stato fatto tutto il possibile per prevenire un epilogo del genere? Se un percorso di tutela non interviene in modo efficace, bisogna riflettere sul funzionamento del sistema e, se serve, rivedere incarichi e procedure».

Per Natoli, l’assenza di una famiglia al fianco del giovane rende ancora più urgente che le figure preposte alla presa in carico garantiscano “presenza, attenzione e continuità, altrimenti il rischio è che questi ragazzi si ritrovino di fatto soli”.

Una riflessione, conclude, che “non riguarda solo un singolo caso, quello di Danilo Rihai ma il tipo di società che vogliamo costruire. Un 17enne non dovrebbe mai arrivare a togliersi la vita in una cella”.