La faccia nascosta del Parco della Pace, quella di chi lo vuole simbolo solo di una Vicenza smilitarizzata: Marta Passarin, attivisti e cittadini

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L’informazione nasce tronca non solo quando diffonde fake news ma anche quando riferisce solo parzialmente degli avvenimenti, come è stato per l’inaugurazione di ieri del Parco della Pace con ampi servizi tv, paginoni sui giornal(in)i e lanci web che ne esaltano i punti positivi, pur ipotizzabili, ma dimenticano completamente la presenza viva e sentita di chi ha lottato contro la costruzione della seconda base USA a Vicenza, quella Del Din, che col nome ha già “stuprato” l’omaggio al vicentino Dal Molin, cancellando il nome storico dell’area, e che è stata la premessa alla cessione alal città della parte verde dell’ex aeroporto Dal Molin.

Hanno esultano ieri gli amministratori del Comune di Vicenza, che nella nota ufficiale affermano che “al momento del taglio del nastro – un tricolore lungo 100 metri – già 5.000 persone avevano varcato gli ingressi della più grande area verde della città” con le foto e le immagini che, però, non ne danno chiara visibilità.

Parco della Pace, parla Giacomo Possamai ai presenti
Parco della Pace, parla Giacomo Possamai ai presenti

Ma nessuno (salvo sviste di cui ci scusiamo) ha ricordato che, senza la possente e pubblicizzata macchina organizzativa che avrebbe fatto confluire all’ex Dal Molin, ora Parco della Pace, 5.000 persone per soddisfare la normale curiosità del primo giorno e per sgambettare, ben 2.500 vicentini hanno marciato pa-ci-fi-ca-men-te per chilometri contro l’Italia-America Friendship Festival, che celebrava i 70 anni della prima base, il 13 settembre scorso. Quei 2.500 erano stati sollecitati solo da volontari, volantini, passa parola anche se “non informati” dai media se non per le presunte “pericolosità” della partecipazione legata in modo artificioso (artefatto?) al Bocciodromo e agli antagonisti.

Contro le basi Usa marciano tutti a Vicenza con tanti bambini, mamme e papà inclusi
Contro le basi Usa marciano tutti a Vicenza con tanti bambini, mamme e papà inclusi

Ebbene noi vogliamo informare, oltre che sulla parte di faccia luminosa “istituzionale” del Parco della Pace (che ci auguriamo lo rimanga anche da domani in poi, finita la festa, senza caricare di costi stratosferici la città e, quindi, i vicentini per la gestione di 650.000 mq di spazi), anche su quella, in più e veramente significativa di pace (e non solo di spazio di svago, magari e necessariamente commercializzato in qualche modo), che vorrebbero chi, come Marta Passarin, tanti attivisti e tanti cittadini che dal 13 settembre sono “tornati” e che ieri hanno dato voce a chi nel Parco ha parlato della sua origine e del suo futuro.

Se autorità sorridenti e discorsi solenni hanno, infatti, salutato ieri l’inaugurazione del Parco della Pace, definito in tv anche come un “regalo” per la città, non bisogna dimenticare la verità: questo parco nasce come compensazione beffarda per la costruzione della seconda base militare statunitense, la Del Din.

Un’opera che si staglia minacciosa proprio accanto ai 65 ettari verdi, dopo aver distrutto la falda idrica e compromesso irrimediabilmente il futuro utilizzo di quell’area. Un “dono avvelenato”, insomma, che testimonia come la militarizzazione continui a dettare il paesaggio e la vita della città.

Parco della Pace e caserma Renato Del Din
Parco della Pace e caserma Renato Del Din

Lo ha ricordato senza mezzi termini Marta Passarin, storica e, all’epoca, giovanissima attivista No Dal Molin, intervenuta con altri antimilitaristi all’inaugurazione: «Se questo Parco della Pace esiste è grazie alla mobilitazione contro la base, non certo alla generosità di chi ci ha imposto la Del Din. Non è uno spazio neutro, ma il simbolo di una lotta che ci ha resi vivi e vegeti».

«Per noi è sempre stato un luogo di speranza e resistenza– ha detto nell’intervento che pubblichiamo integralmente a seguire* insieme a quello degli altri attivisti che hanno dato forza all’altra voce di Vicenza, quella che, pensiamo, sia di tantissimi, anche se spesso inespressa, almeno finora, per mille ragioni –. Qui ho piantato alberi nel 2009, qui ho vissuto un pezzo della mia vita e ho anche incontrato il mio compagno, e oggi torno per dire che noi siamo ancora vivi e vegeti».

Passarin ha ripercorso le tappe di quel movimento che si oppose per anni all’ampliamento della base Usa, con manifestazioni, ricorsi, presidi e incontri internazionali. Un movimento che ha lasciato un segno profondo: «Hanno costruito la base, ma non sono riusciti ad estirpare alla radice il dissenso che ci tiene uniti».

Due i punti che l’attivista ha voluto sottolineare con forza.

Primo: la richiesta che i militari statunitensi siano dichiarati indesiderati nel Parco della Pace. «Serve un cartello che dica chiaramente: questo è spazio demilitarizzato. I soldati Usa non devono metterci piede», ha affermato non certo per escludere singole persone come i militari americani, che, comunque, rischiano la vita agli ordini dei superiori e per volontà del loro governo, ma per simboleggiare fortemente l’antimilitarismo verso gli USA, che ne è spesso l’antitesi.

Secondo: la testimonianza di resilienza del movimento. «Ci davano per sconfitti, ma noi siamo ancora qui. Sparsi come spore nella città, continuiamo a costruire comunità e alternative. Non ci siamo mai arresi e non ci arrenderemo».

Per Passarin e gli altri attivisti, il vero compimento della “missione simbolica” del Parco della Pace arriverà solo quando l’area della base diventerà un luogo di cultura, sapere, università e co-housing sociale. «Vicenza non deve limitarsi a essere città di pace – ha concluso – deve diventare città antimilitarista».


* Gli interventi al Parco della Pace in audio e la loro trascrizione di Carlo Presotto, Nora Rodriguez e Marta Passarin.

Bentrovate. Bentrovati a tutti. Io sono Carlo Presotto. Nel 2012, durante il Festival No Dal Molin, con un gruppo di attivisti, lavorammo a registrare delle voci che parlavano dell’idea di fatto della pace. è stato un lavoro di alcuni giorni. In occasione di questa apertura pubblica che è stata costruita per questa giornata, l’assessore alla pace Giovanni Selmo mi ha chiesto cosa potremmo mettere in questo luogo, cosa potremmo mettere in scena in questo luogo che è il luogo, adesso diciamo cosa succede qui, qui intorno in quegli anni. Allora ho parlato con alcuni del gruppo di quel laboratorio e abbiamo pensato di aprire questa capsula del tempo. senza commentarla, soltanto introducendo e contestualizzando grazie alla voce di Paola Rossi minimamente di che cosa parla ognuna delle 12 tracce (il silent play del sulla storia del parco fatto nel 2010 e aggiornato, ndr)e quindi entriamo proprio dritti dentro un momento in cui l’anno prima era stato appena annunciata l’idea di questo cambiamento di progetto per cui sarebbe stata costruita la base nel lato ovest e il lato est sarebbe l’idea di darlo alla cittadinanza successivamente dopo quel laboratorio del 2013 il comune acquisisce quest’area e inizia un processo ci sarebbero talmente tante cose da dire, tante voci da mettere insieme, che questa idea di aprire semplicemente questa piccola scatola ci è sembrata la cosa più pulita, più corretta da fare. Chiaramente il percorso è in movimento, è in apertura, questa è una tappa di un processo, secondo me, questa giornata, questa è la mia opinione, di un processo che è anche artistico, di narrazione, partecipata di un’identità, di una comunità e di più comunità che si incrociano dentro un’idea che continua a cambiare anche forma e disegno. Quindi una complessità e la complessità è sempre difficile da tenere insieme. Per questo l’idea adesso sarà, abbiamo alcune voci che comunicano con noi su questo momento, dopodiché chi vuole con le cuffie partecipa con me e Paolo a una passeggiata in cui ascoltiamo queste voci. Per chi c’era riconoscerete delle voci, è abbastanza forte per chi c’era chiaramente. Per chi non c’era aprirete un universo che non so che effetto vi farà, saremo curiosi di sapere se vi mette in moto, se vi attiva, se vi incuriosisce, se volete saperne di più sapete che comunque è un universo questo parco è la punta, una punta piccolissima di un iceberg enorme che ha messo in moto questa città per tanti anni quindi grazie a chi c’è, Nora posso chiederti di dire due parole cosa è successo qua qualche mese prima Quando. È nata questa idea di fare questa narrazione ci siamo chiesti e il senso di raccontare le nostre esperienze qua.

Per me – dice Nora Rodriguez – questo posto ha una valenza immensa perché siamo entrati a piantare questi alberi. Alcuni sono cresciuti, altri no, come tutti i processi naturali, la selezione naturale. Però ancora oggi vederli mi commuove. Mi commuove perché è stata una proporzione di un pezzetto di questo immenso parco che la città stava prendendosi, riprendendosi. e il dolore immenso di vedere che di là c’è quello che noi non volevamo che ci fosse, ma c’è. Però allo stesso tempo la gioia di pensare che siamo qua per godercelo noi perché è nostro, è della città di Vicenza. E io mi sento una delle artefici di questo. perché ci ho messo tanto, ci ho messo passione, ci ho messo impegno, dedicato tempo e altre cose. Con me c’era mio marito e quindi sono due volte emozionata per me e per lui e oggi lui qua sarebbe molto felice di stare con noi rimemorando quelle emozioni tutte insieme e sarebbe tanto spiaciuto anche perché di là c’è quel mostro.

Ciao a tutte e a tutti, io sono Marta (Marta Passarin, ndr) del Presidio Permanente No Dal Molin. Qualcuno si chiederà come mai io vengo qui a parlare, ma volevo portare qui la mia storia, che è la storia generativa della mia vita. Grazie a questo movimento io oggi ho gli amici più cari, ho il mio compagno, ho il mio futuro. Il mio albero deve essere là in fondo. Non so bene quale sia perché è dal 30 gennaio del 2009 che non metto piede qui dentro. Mi ricordo che era là in fondo perché lì vicino c’era la rete che lo separava dall’aeroporto. Quella mattina, quel pomeriggio, quel sabato pomeriggio, mio papà, che era militare dell’aeronautica, si mise la divisa e andò in servizio. Ovviamente andò per controllare che non ci succedesse niente. Ci lanciava le sigarette dalla rete. E vi ricordo Lauricella che rideva come un matto per questa scena. Eravamo tanti, eravamo in 150. avevamo piantato questi 50 alberi che vedete oggi e che rivedo io oggi dopo tanti anni eravamo tanti dentro ed eravamo tantissimi fuori ed era questa la potenza del movimento ho voluto esserci oggi per dire dei nomi Guglielmo Ersilia, Arnaldo, Angelo, Silvia, Delfino, Lino (Olol ndr) e qualcuno me lo sto dimenticando. Se mi avessero chiesto se volevo una targa forse avrei detto di no, anzi avrei detto di no perché mi sembra che le targhe siano per i morti. invece noi qua siamo vivi siamo vivi e credo che la città lo abbia visto credo che se anche qualcuno ha fatto finta di non vederlo questo movimento ci sia ancora oggi seminato come un movimento carsico perché siamo spuntati fuori negli anni come i funghi. C’è il Caracol, un luogo di cura e di cultura. C’è il bocciodromo vecchio e il bocciodromo nuovo, che dà spazio ai ragazzi e alla cultura. C’è Porto Burci, che viene anche lui da qua. Quel giorno che abbiamo piantato gli alberi non abbiamo avuto tanto tempo per rimanere qua perché a poche centinaia di metri avevamo un festival da tirare avanti, un festival costruito, inventato in meno di un mese e dovevamo correre al festival perché la sera sarebbero arrivate tante persone. Dovevamo aprire le cucine, i bar, accogliere gli artisti. Era una militanza 24 ore su 24. Abbiamo risignificato le cose. Per chi c’era, e dico, Tombini, sa di cosa parliamo. Per chi c’era, e dico, Torretta, sa che cos’era. Per chi c’era dico lo sgabbiotto della radio. Sa che cos’era. Un movimento ampio che riuniva dai preti per la pace fino ai ragazzi del capannone. Gli anarchici no, perché chi c’era si ricorda degli anarchici di Rovereto. Come li abbiamo mandati via. In quei mesi abbiamo rivoluzionato le nostre vite. Anche i nostri nomi cambiavano. Io forse sul cellulare di qualcuno sono ancora Marta Cineforum o Marta Biblioteca. Come c’era la Giuliana Campo, perché ci aveva dato il campo. C’era la Giuliana Schei, perché faceva la contabilità. C’era la Franca Pugno, ma questa era un’altra storia. C’era Andrea Regbi, Luca Pugile e così via, era tutto risignificato. Avevamo costruito un mondo, un mondo fatto di relazioni tra persone, che altrimenti non si sarebbero incontrate. Lottare insieme al freddo ci ha fatto comunità. Genitori e figli, adolescenti, bambini, mariti e mogli, studenti, ragazzi e ragazze, dottori, falegnami, elettricisti, idraulici, assicuratori, impiegati di banca, operai, ingegneri, sindacalisti. Le abbiamo provate tutte. Abbiamo fatto ricorsi al TAR, occupazioni, manifestazioni, presidi tutti giovedì sera per mesi davanti alla Ederle. convegni, dibattiti, meeting internazionali. Abbiamo mobilitato il mondo dello spettacolo e il mondo della cultura. Non dimenticherò mai come un sabato mattina suonò il telefono ed era Ettore Scola a cui avevo mandato un fax per dirgli che avremmo trasmesso, avremmo proiettato il commissario Pepe dentro il tendone. Abbiamo contestato tutti, l’ambasciatore Spogli, che qualsiasi politico veniva a Vicenza, a un certo punto non sono più venuti. Chi c’era si ricorda Marco Palma che entrò nel pullman di Veltroni, dei supporter di Veltroni, perché in città non ne aveva più all’epoca. E chi non aveva il coraggio di venire lo inseguivamo. Siamo andati a casa di Paolo Costa a Venezia. Siamo andati a Trento da Romano Prodi. Siamo andati a Roma alla Crocerossa. Abbiamo girato il mondo. Siamo andati a Washington alla Casa Bianca. Siamo andati a Bruxelles, al Parlamento Europeo. Siamo andati a Oslo. A Bogotà. Siamo andati a Bogotà. A VinItaly. Siamo andati a VinItaly. Siamo andati dappertutto. A Firenze, A Ravenna. Siamo andati a Ravenna. A cercare di bloccare chi costruiva questa base. Le abbiamo provate tutte ma il potere aveva deciso il potere aveva già deciso e aveva deciso due cose che la base si sarebbe fatta e che il movimento avrebbe dovuto essere estirpato alla radice io credo che questi mesi abbiano dimostrato che non ci sono riusciti a fare quella cosa. Ad estirparci non ce l’hanno fatta, a costruire la base sì. Credo che questo parco avrà il suo compimento quando dentro quella schifezza ci saranno università, ci sarà un co-housing sociale, ci sarà un luogo di cultura e di sapere e non un luogo di morte. Abbiamo fatto anche un referendum autogestito, le abbiamo provate tutte. Il potere poi ha deciso di reprimerci e l’ha fatto con gli strumenti di cui è capace. Ci ha denunciato, ci ha dato multe, ci ha pedinato. Ha fatto intercettazioni telefoniche, intercettazioni ambientali, ha perquisito le nostre case. Sono gli unici modi che il potere ha, ma non ha estirpato alla radice il dissenso. Per questo oggi siamo tranquilli, non abbiamo paura. Non abbiamo timore neanche dei mail sgradevoli, perché siamo forti. Abbiamo imparato ad essere forti. abbiamo le spalle larghe e vi prego chiedo che quando si parla di Vicenza  non si parli solo di una città di pace ma si parli di una città antimilitarista perché questo è Vicenza una città antimilitarista e vorrei che venisse mandata una comunicazione ai militari americani statunitensi per dire che qui dentro non ci devono entrare che come là ci sono delle targhe che dicono di vieto di accesso zona militare che qui venga scritto che questa è un’area demilitarizzata e che loro non ci possono entrare né con le divise né senza divise perché sennò la memoria di questo posto è calpestata noi siamo ancora qui sparsi come spore nella città e vi siete accorti che non ce ne andiamo.

Che – poi prosegue Presotto – delle radici e delle score sono in movimento ancora per la città. Allora adesso per aprire insieme questa scatola del tempo in cui andiamo a ascoltare e a ricostruire alcune cose di 13 anni fa che parlano al presente perché di fatto è per questo che le apriamo. Prima di farlo Giovanni Selmo, Assessore alla faccia, con Nora, con la presenza ufficiale del sindaco questa targa di cui Marta ci ha detto anche qualcosa, vediamo di cosa parla, è tutto artigianale A settembre 2007 150 attivisti del movimento No Dal Molin hanno messo a dimora frassini, aceri e altre piante del territorio in questo terreno. Per decenni luogo di atterraggi, decolli e azioni militari. Alberi come testimoni e custodi. Uno spazio libero per le note della pace grazie alla determinazione e alla partecipazione popolare. Questo è il testo. Adesso entriamo direttamente nella storia. Per chi di voi vuole venire e seguirci.