Festival: amicizia o discordia? Ferrarin coerente con suoi valori lascia delega, piazza invoca revoca Bulgarini. Tra cittadini e amici scelga Possamai

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No alla basi ma anche no a
No alla basi ma anche no a "parallelo" Italia-America Friendship Festival di Possamai & Bulgarini

La parabola politica e personale di Jacopo Bulgarini d’Elci, fino ad oggi direttore e ideatore del contestatissimo Italia-America Friendship Festival, che chiude i battenti, mette in luce una contraddizione che ha spaccato Vicenza. Da un lato, l’ex vicesindaco di Variati, era stato nominato dal sindaco Giacomo Possamai a inizio mandato consigliere esterno e figura di raccordo con la comunità statunitense, ruolo allora lodato anche per il carattere gratuito, “senza alcun gettone” di presenza.

Giacomo Possamai e Jacopo Bulgarini d’Elci
Giacomo Possamai e Jacopo Bulgarini d’Elci

Dall’altro, a distanza di pochi mesi, Bulgarini si ritrova al centro di un’operazione, l’Italia-America Friendship Festival, da lui “ideato e diretto”, con il consenso (stimolo?) totale del sindaco, e con compensi ad oggi “secretati”, che, accanto alla cosiddetta amicizia italo americana, sentita tra i due popoli ma dubbia per le storiche imposizioni, militari ed economiche, all’Italia dei governi USA, non ultimo ma neanche primo quello di Trump, celebra i 70 anni della prima base USA a Vicenza attirando pesanti accuse di opacità e militarismo.

Da sx Daniele Ferrarin col sindaco Giacomo Possamai nel giorno dell'annuncio della sua delega "esterna"
Da sx Daniele Ferrarin col sindaco Giacomo Possamai nel giorno dell’annuncio della sua delega “esterna”

A rendere ancora più evidente il contrasto è stato il gesto di Daniele Ferrarin, ex consigliere comunale del “primo” Movimento 5 Stelle, esperto di risparmio energetico e videosorveglianza, anch’egli consigliere esterno per la sua area del sindaco senza gettoni, che ha deciso di restituire la delega come forma di dissenso politico e morale.

“Non posso rimanere in silenzio davanti a una manifestazione che, in nome di una presunta amicizia, minaccia di ignorare il significato profondo della nostra storia e dei nostri valori”, ha scritto Ferrarin nella sua nota di dimissioni, ribadendo che Vicenza “non può essere rappresentata da eventi che celebrano l’amicizia con gli Stati Uniti ignorando la realtà di una città segnata dalla militarizzazione”. L’ex consigliere ha voluto ricordare anche la Casa per la Pace, punto di riferimento per associazioni e cittadini impegnati nella nonviolenza, “inconciliabile con un festival che celebra la presenza militare americana”.

Lo scontro politico è arrivato in piazza. Ieri, sabato 13 settembre, oltre 2000 persone (1.500 per la Questura ad inizio corteo a piazza Castello, per gli organizzatori 2.500 all’arrivo, circa due ore dopo, con vicentini che si aggregavano mano a mano lungo il percorso) hanno partecipato alla marcia pacifica organizzata, nonostante il quasi totale oscuramento mediatico che, invece ha “spinto” e celebrato, anche giustamente se non avesse trascurato l’altro evento, lo storico ma meno “impegnativo” Giro della Rua, “abbracciato”, dice il Comune stesso, da un migliaio di “spettatori”, tra cui i turisti.

Se movimenti, associazioni, partiti e sindacati, hanno testimoniato l’impegno pacifista e antimilitarista di Vicenza, anch’esse storico, Marta Passarin ha aperto il corteo con parole durissime contro il festival e il suo direttore. “Questo festival è un’operazione di soft power – ha dichiarato – un tentativo becero di riscrivere e cancellare la storia di opposizione alle basi americane che ha sempre caratterizzato Vicenza”. Passarin ha ricordato che l’iniziativa venne presentata a Washington, a margine del vertice NATO del 2024, in un ricevimento finanziato da colossi come Leonardo, Beretta e Fincantieri, e alla presenza dei ministri Tajani e Crosetto: “Non è questione di Trump o di timing: i vicentini si sono sempre opposti alla militarizzazione, che fosse sotto Obama, Bush o Clinton. Vicenza non è una città normale, è una città a libertà limitata”.

Nelle sue parole, il festival non rappresenta un’occasione culturale, ma la normalizzazione della presenza americana in città: “I vicentini non vogliono essere complici, non vogliono essere conniventi con la guerra e i genocidi. Lo dicevamo ai tempi del Dal Molin e oggi con forza lo ribadiamo”.

Da qui la richiesta chiara al sindaco Possamai: “Chiediamo il ritiro della delega a Bulgarini e la sua uscita da Palazzo Trissino. Non abbiamo bisogno di lecchini dell’esercito statunitense, ma di persone capaci di leggere la complessità della città con trasparenza e coerenza”.

La contrapposizione tra le due figure, Bulgarini e Ferrarin, racconta due visioni (sensibilità?) diametralmente opposte di Vicenza. Il primo, promotore di un evento che intende “costruire ponti culturali” ma che di fatto nasce e si sostiene, anche economicamente, in ambito militare; il secondo, che rifiuta di legittimare un’operazione percepita come un insulto alla storia pacifista cittadina e sceglie di farsi da parte.

Il sindaco si ritrova così stretto tra la difesa istituzionale del festival, presentato come “ponte culturale e commerciale”, e una cittadinanza che, “grazie” anche alla provocazione del duo Possamai & Bulgarini, è tornata in massa nelle piazze, con futuri probabili risvolti elettorali, e ancora una volta ha mostrato un’anima pacifista e antimilitarista viva e radicata.

La domanda, oggi, non è più soltanto quale futuro avrà il festival, annunciato come “il primo”, ma che la città ha dimostrato in gran parte di non volere, ma quale credibilità potrà avere un’amministrazione che da un lato rivendica valori di pace, dall’altro continua a legittimare con i fatti una città “a sovranità limitata”.