
Il Ministero della Cultura partecipa, dal 10 al 16 novembre, al Festival dell’Arte di Vicenza con l’esposizione della serie “La Cura” di Mario Cresci, tra i più importanti interpreti della ricerca fotografica italiana degli ultimi sessant’anni.
L’iniziativa è promossa dal Dipartimento per le Attività Culturali, in collaborazione con la Direzione Generale Creatività Contemporanea e la Direzione Regionale Musei Nazionali della Basilicata.
Le dieci fotografie esposte a Vicenza, realizzate nel 2011 con stampa a getto d’inchiostro su alluminio, provengono dai Musei Nazionali di Matera. Fanno parte del progetto “Forse fotografia”, sostenuto dal Piano per l’Arte Contemporanea (PAC) del Ministero della Cultura.
Il PAC rappresenta uno degli strumenti principali attraverso cui il Ministero sostiene la produzione artistica e la ricerca contemporanea in Italia. Promuove progetti innovativi e la valorizzazione del patrimonio culturale.
Incentiva inoltre buone pratiche nell’ambito della progettazione, programmazione, gestione e cura dell’arte e della creatività contemporanea, in linea con gli standard nazionali e internazionali.
Grazie al PAC, Cresci ha potuto realizzare un corpus di opere originali, alcune delle quali site-specific, che hanno arricchito la mostra itinerante Forse fotografia (2010-2011). Questa è stata ospitata alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, all’Istituto Centrale per la Grafica di Roma e al Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna della Basilicata – Palazzo Lanfranchi di Matera.
Per quest’ultima sede, l’artista ha realizzato la serie “La Cura”, un lavoro site-specific dedicato agli spazi del deposito dei Musei Nazionali di Matera. All’epoca, questa sede ospitava il laboratorio di restauro della Soprintendenza per i Beni Artistici della Basilicata.
Con sguardo da antropologo, Cresci documenta il lavoro silenzioso della tutela e del restauro, cogliendo nei dettagli del laboratorio un’analogia visiva tra i corpi delle opere d’arte e quelli umani.
Sculture e dipinti, segnati dal tempo, dalle catastrofi o dall’incuria, diventano i pazienti di un simbolico “ospedale dell’arte”, luogo di cura non solo estetica ma anche etica e culturale.



































