Fordow in Iran. Missili, minacce e moralità: la democrazia non si è mai esportata. Arnò: “Ora è diventata una soap opera di guerra permanente”

Intervista di Giovanni Coviello, direttore di ViPiu.it e VicenzaPiù Viva e membro del consiglio consultivo ASIB, al direttore della Gazzetta Italo-Brasiliana on line, Giuseppe Arnò

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Come sempre pungente, Giuseppe Arnò, presidente dell’Associazione Stampa Italiana in Brasil, ha scritto sulla sua lagazzetta-online.com l’articolo “Missili, minacce e moralità: il grande spettacolo della democrazia esportata”, in cui smaschera, dopo l’assalto con i B2 americani a Fordow in Iran, con sarcasmo il copione ormai trito e ritrito con cui l’Occidente continua a presentare come “missioni di pace” e “battaglie per i diritti” quella che, nei fatti, è una guerra permanente a bassa intensità, utile a far girare l’industria bellica e ad alimentare vecchie e nuove egemonie. Più che esportazione di democrazia, una fiction ma reale e bellica. Abbiamo voluto approfondire con lui (nel video di copertina un servizio NDTV).

Coviello – Direttore Arnò, ma siamo davvero ridotti a questo? La democrazia è diventata uno spettacolo pirotecnico per i telegiornali?

Arnò – Altroché. È diventata una soap opera armata, con stagioni interminabili. Le nuove “puntate” si aprono ogni volta che serve: che sia per distrarre l’opinione pubblica, alzare i budget militari o rimpinguare qualche industria bellica. Il copione è sempre quello: grandi proclami, lacrime pelose per i civili, poi droni, sanzioni, armi e magari anche bombe a grappolo, sempre “per la democrazia”, ovvio.

Coviello – Lei denuncia l’ipocrisia di una retorica che gronda di moralità selettiva. Non è esagerato?

Arnò – Tutt’altro. Ormai la moralità è a taglia unica e a comando. Si grida allo scandalo solo quando il “nemico” di turno commette atrocità, mentre sugli amici e sui loro crimini si stende un colpevole silenzio. Siamo alla doppia morale ufficializzata: quella che esige i diritti umani… a geometria variabile. Tutti gli altri casi vengono archiviati sotto la voce “danni collaterali”. Ormai anche Orwell, se fosse vivo, avrebbe smesso di scrivere per disperazione.

Coviello – La diplomazia è finita dunque?

Arnò – La diplomazia classica, sì. È stata rimpiazzata da una diplomazia da talk show: battute a effetto, tweet al vetriolo, ultimatum a favore di telecamera. Così si parla oggi fra potenze: chi strilla più forte. Il problema è che dietro le quinte non ci sono veri negoziati, ma solo spintoni e provocazioni. E quando qualcuno perde il controllo, il teatrino può degenerare in tragedia. Ma almeno fa audience, no?

Coviello – E il pubblico occidentale, secondo lei, ci casca ancora?

Arnò – Una parte sì, per abitudine o per fede. Ma cresce anche, o almeno lo speriamo, la fetta di cittadini che comincia a capire il gioco e non si beve più la solita storiella dei “liberatori” a colpi di F-35 o, questa volta a Fordow in Iran, di B2. Però la propaganda lavora senza sosta: l’obiettivo è normalizzare l’idea che un po’ di guerra qua e là sia il nuovo stato naturale delle cose. Così la gente si abitua. E chi non si abitua… viene etichettato come “filo-nemico” di turno.

Coviello – Dunque, questa democrazia esportata, chi la vuole ancora?

Arnò – Forse solo i fornitori di missili e i produttori di retorica da discount. I popoli, in genere, preferirebbero pane, scuole e ospedali. Ma quelli non fanno notizia, e soprattutto… non fanno aumentare il PIL militare. In fondo, la democrazia vera è un’altra cosa: si costruisce dal basso, non si sgancia dall’alto, come le bombe a Fordow. Ma questo, mi creda, non fa share.