Gli architetti dell’intelligenza artificiale sono la Persona dell’anno 2025 di Time e questo forse dovrebbe preoccuparci

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Intelligenza artificiale
Le copertine di TIME sulla persona dell'anno 2025

La rivista americana Time ha scelto come Persona dell’anno 2025 l’insieme dell’intelligenza artificiale e delle persone che l’hanno resa ciò che è oggi. Non una singola figura, quindi, ma una tecnologia e gli “architetti” che più ne hanno guidato gli sviluppi: da Sam Altman (fondatore di OpenAi) a Demis Hassabis (Ad di Google DeepMind), da Jensen Huang (fondatore di Nvidia) a Fei-Fei Li (cofondatrice di Google Brain). “Il 2025 è stato l’anno in cui il pieno potenziale dell’intelligenza artificiale è esploso alla ribalta –  ha scritto la rivista – e in cui è diventato chiaro che non si potrà più tornare indietro”. Time sostiene che nessun altro fenomeno abbia influenzato quanto l’IA il modo in cui immaginare e costruire il futuro.  Una scelta che arriva in un momento in cui l’intelligenza artificiale è il centro di quasi ogni conversazione pubblica: dalle politiche industriali alle scuole, dalla ricerca medica alle elezioni statunitensi, fino alle ricadute sul lavoro, privacy e disinformazione. Come ha spiegato Sam Jacobs, il direttore di Time, l’idea è che nel 2025 qualunque fosse la domanda la risposta è sempre stata “IA”. E che le persone rappresentate nelle due copertine di quest’anno non siano solo dirigenti tecnologici, ma i leader che progettano e costruiscono le piattaforme su cui l’intero settore è oggi fondato, e quindi forse in parte, anche un po’ come vediamo la realtà.

Le copertine sugli architetti dell’IA

Le copertine sono uno degli elementi più iconici della rivista, che per l’occasione ne ha presentate due. Nella prima vari leader del settore – Mark Zuckerberg, Lisa Su, Elon Musk, Jensen Huang, Sam Altman, Demis Hassabis, Dario Amodei e Fei-Fei Li – compaiono seduti su una trave d’acciaio sospesa nel vuoto, in un chiaro rimando alla fotografia Lunch Atop a Skyscraper del 1932. Nell’altra sono circondati da impalcature attorno a una gigantesca struttura con le lettere A e I. Il premio di Persona dell’anno – che fino al 1999 era chiamato “Uomo dell’anno” – viene dato ogni anno dal settimanale a una persona, un gruppo, un’idea o un oggetto che «nel bene e nel male ha influenzato di più gli eventi di quell’anno». Non si tratta di un riconoscimento per meriti specifici, ma per rilevanza storica e culturale. Non è la prima volta che il Time premia una “non-persona” nell’ambito della tecnologia. L’aveva fatto nel 1982 con il personal computer e nel 2006 con il celebre “You”, dedicato agli utenti dei social media e ai primi creatori di contenuti. In tutti questi casi si trattava di fenomeni o concetti che hanno ridefinito il modo di comunicare, informarsi o percepire il mondo; ed è così che viene vista l’intelligenza artificiale dalla rivista, una trasformazione simile e se vogliamo ancora più radicale.

Una decisione che riflette le ambivalenze del periodo

Nel corso dell’anno, l’IA ha permesso progressi notevoli nella ricerca medica e nella modellazione di materiali, e ha risolto problemi matematici rimasti irrisolti per decenni, secondo la rivista. Allo stesso tempo ha alimentato discussioni sulle sue conseguenze ambientali, sui rischi per l’occupazione e sul ruolo delle piattaforme tecnologiche nella diffusione di contenuti falsi in un anno elettorale particolarmente delicato. La scelta di Time, insomma, è anche un modo per dire che l’intelligenza artificiale è diventata il tema attraverso cui si leggono molti altri temi: economia, geopolitica, cultura pop, educazione, regolazione tecnologica, e che le persone ritratte sulle copertine sono oggi alcune delle figure che più influenzano (e influenzeranno) il modo in cui questa tecnologia sarà governata. Come accaduto nel 1982 con il personal computer, la decisione di Time fotografa un momento di trasformazione in cui una tecnologia smette di essere novità e diventa infrastruttura, ridefinendo le priorità ma anche le paure di governi, aziende e cittadini. La questione forse è se siamo davvero pronti a confrontarci con una tecnologia dotata di così tanta “agency” – definita in sociologia come la capacità di agire autonomamente, prendere decisioni e influenzare la realtà – ma controllata sostanzialmente da pochissimi “architetti”, che avranno quindi ancora più potere nel definire il mondo in cui viviamo.