I due massimi premi scientifici vanno a italiani con formazione umanistica

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Nel giro di pochi giorni due ex allievi del Liceo Classico italiano, un 34enne e un 77enne, sono stati premiati con i massimi riconoscimenti internazionali nell?àmbito della matematica e della fisica matematica. Del più anziano, Giovanni Gallavotti, premio Poincaré 2018, occorre appena ricordare che è figlio di Carlo, uno dei grandi grecisti del Novecento italiano, originale studioso di Saffo, Aristotele, Teocrito, e insigne conoscitore di manoscritti. 

Diventato uno dei massimi fisici mondiali, Giovanni non mancò, già nel lontano 1998, di deplorare l?involuzione della scuola secondaria italiana verso la semplificazione, l?insegnamento dell?inglese veicolare e delle più banali applicazioni tecnologiche a premio sulle materie ?tradizionali?: per lui, lo studio di greco e latino ?inteso come messa in opera e insegnamento del ragionamento astratto, avulso da immediate applicazioni, fornisce gli strumenti essenziali per raggiungere qualsiasi conoscenza?. Solo grazie alla formazione classica, proseguiva Gallavotti, la scienza appare come una disciplina viva, in divenire continuo, anziché come una sfilza di teoremi.

Il ben più giovane Alessio Figalli, medaglia Fields 2018, è anch?egli uscito dal classico, dal Vivona di Roma, dove il suo docente di latino e greco Paolo Lauciani lo ricorda come capace e puntiglioso anche nelle versioni da Sofocle e da Livio. La mia immagine di Figalli è legata al collegio Timpano della Scuola Normale di Pisa, dove lo vidi entrare quando ero ormai già perfezionando, e dove la sua carriera fulminea – prima in Francia, poi oltreoceano – assunse ben presto dei tratti leggendari perfino per gli standard dell?istituzione. Lo ricordo circolare negli stessi corridoi dove fino alla sua morte (1996) il grande matematico Ennio de Giorgi (allievo del liceo classico Palmieri di Lecce), una delle persone più modeste e disponibili che abbia mai conosciuto, passava ore intere a risolvere problemi ed equazioni con studenti di tutte le età, non pochi dei quali usciti anch?essi dal classico, e pronti a discettare poco dopo di etimologie greche o del sacco di Roma del 390 a.C.

Non so cosa possano fruttare, sulla base dei criteri Anvur, delle classifiche Ocse-Pisa o dei parametri Invalsi, le ore spese da queste persone a tradurre Tucidide, o quelle passate da De Giorgi a confrontarsi con le matricole. Mi rimane però il sospetto che spesso la ?via italiana? che ha creato grandi figure di scienziato passi per un?istruzione non quantificabile con formule o semplici algoritmi, e strettamente legata a quella che Nuccio Ordine ha definito l? ?utilità dell?inutile?: il Liceo Classico, che come mostra Federico Condello (La scuola giusta

, Mondadori 2018) è tutt?altro che una scuola per letterati e promuove tramite lo studio grammaticale e l?esercizio di traduzione quegli hard skill

destinati a servire a qualunque cittadino adulto, gioca in questo senso un ruolo centrale.

E mi rimane il sospetto che l?istruzione classica, e un certo modo di intendere la formazione ?umanistica?, non serva dunque soltanto a formare i futuri geni, ma, magari in misura diversa, anche a noi comuni mortali nelle nostre professioni e vite di ogni giorno.