
Nell’epoca degli eccessi, della competizione mediatica a chi grida più forte e la “spara” più grossa, della visibilità a tutti i costi, della logorroica “piazza” virtuale di Facebook, delle fila chilometriche per acquisire l’ultimo smartphone, può tornare la voglia di sobrietà? Soltanto chi si trova nelle condizioni di disporre molto più del necessario e quindi conosce e pratica l’eccesso può avvertire, in una certa fase della sua vita, la necessità di assumere un comportamento più sobrio. È questo di fatto quello che successe ad Alvise Cornaro (o Alvise Cornèr), l’autore del fortunato testo Vita sobria (1558), a cui viene fatta risalire l’origine della trattazione teorica di questa “utile virtù”.In questo testo, infatti, l’autore, che ha vissuto per metà della sua  vita nell’agio, disponendo e consumando più del necessario, scopre che  adottando uno stile di vita ispirato alla sobrietà, regolamentato quindi  non soltanto nella quantità di cibo da consumare, ma anche nel modo di  vestire, di abitare, di impegnarsi in attività pratiche o in arti utili,  nonché nella condotta morale, fornisce una concreta possibilità di  allungare considerevolmente la propria esistenza. 
 L’adozione di uno  stile di vita sobrio è qui esplicitamente concepito come uno strumento  per perseguire ciò a cui tutti ambiscono: vivere il più a lungo  possibile. Considerata sotto questo aspetto la sobrietà non sembra  possedere un fine eticamente molto elevato, dal momento che Alvise  Cornaro l’adotta quando sente che la sua vita materiale sta per  terminare e ricorre ad essa soltanto per vivere più a lungo, riuscendovi.  Ci pensa Papa Francesco a darci una  visione più ampia (“Cercate di  essere liberi nei confronti delle cose. Così come è necessario il  coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà“) nel  messaggio di  quattro anni fa, in occasione della XXIX Giornata  mondiale della gioventù.
 La sobrietà, infatti,  non è solo una  limitazione più o meno volontaria dei beni terreni, che pure è  necessaria se non si vuole distruggere il mondo, ma è uno stile di vita,  improntato sulla  semplicità e sul rispetto verso gli altri. È il  contrario di quell’autonomia radicale per cui ci si permette tutto,  ignorando ed a volte calpestando i diritti e le libertà  del prossimo.  La sobrietà non è virtù che riguarda unicamente i beni e le ricchezze; è  virtù che tocca l’interezza dell’anima e della vita, quella personale,  quella civile. Si potrebbe dire che essa abita la terra del «piccolo», è  il credere che i tesori sono nascosti nello spazio dei «piccoli», e  crederlo testardamente, a dispetto di una “numerosa razza di odierni  «scavatori», che persiste a cercare tesori altrove, presso i grandi,  all’ombra dei potenti, tra trono e altare” come sostiene  Marcello  Farina, sacerdote filosofo.
 La sobrietà aiuta a costruire la  giustizia, perché decide e sceglie secondo un’equa misura ed è  rispettosa dei diritti e soprattutto dei doveri che si hanno verso il  prossimo.  Chi agisce con sobrietà (versione aggiornata della virtù  cardinale della temperanza) non è smodato, eccessivo, ingordo,  sregolato, ma si gode la sua semplicità in tutto, perché sa ridurre,  recuperare, riciclare, riparare, ricominciare.
“La smania del  nuovo“, invece, è quella che spinge a voler ricercare qualcosa che non si  sa che cosa sia, a non accontentarsi mai di quello che si ha già, a non  godere fermamente delle cose fatte. Tutto ciò contiene i semi  dell’infelicità e rende estremamente complesso il vivere quotidiano.  Anche il continuo bombardamento sensoriale, che la società dei consumi  effettua rende dipendenti dalle novità. Presumibilmente bisognerebbe  rieducare i sensi con le strategie pedagogiche della Montessori  “…  Noi dunque possiamo aiutare lo sviluppo dei sensi… graduando e  adattando gli stimoli…“.
D’altra parte, il volere più di quello che  si ha è un’esigenza legittima dell’essere umano, laddove essa è fonte  di un miglioramento della qualità della vita. La trappola scatta quando  si desidera di più senza godere appieno di quello che nel frattempo si è  raggiunto. In tal senso Cristopher Carlson, scrittore svedese, osserva  che  “…Se pensi che di più sia meglio, non sarai mai soddisfatto…  ricordati che anche se ottieni quello a cui stai pensando, non sarai più  soddisfatto di prima, perché continuerai a desiderare sempre di  più…“.
Alla luce di ciò, il nostro benessere passa attraverso una  riscoperta della sobrietà e della semplicità, che consentono di  apprezzare quello che si è, quello che si ha e quello che si fa. Si  scopre così nella frugalità l’origine delle propria grandezza. “Temo un  uomo dal discorso frugale….temo che egli sia grande…” (Peter  Dickinson, 1996).
 
             
		


