
di Raffaele Bonanni
ROMA (ITALPRESS) – C’è un tema che si aggrava ogni giorno e che nessuno osa affrontare davvero: il declino demografico italiano. Una lenta, ma inesorabile, caduta di peso economico, sociale e civile. Da più di dieci anni, l’Italia perde abitanti con una costanza inquietante. E i numeri non mentono: dal 2014 ad oggi abbiamo lasciato per strada un milione e quattrocentomila persone. Se la tendenza non si inverte, nel 2030 saremo in 58,6 milioni, e nel 2050 scenderemo a 54,8 milioni. Una vera e propria decrescita infelice.
Le cause sono tutte lì, sotto gli occhi di tutti. Nel 2024 sono nati solo 370 mila bambini, con un ulteriore calo del 2,6% rispetto all’anno precedente. Nello stesso tempo, i decessi hanno toccato quota 651 mila. Il saldo è drammaticamente negativo. E non è finita: in dieci anni un milione di italiani ha lasciato il paese. Di questi, nel 2024 sono emigrati in 56 mila, mentre meno della metà ha fatto ritorno. E sono soprattutto giovani istruiti, quelli di cui avremmo un disperato bisogno per tenere in piedi la nostra economia e il nostro stato sociale. Ma il dibattito nazionale continua ad aggirare il problema. Si preferisce parlare di bonus, polemiche lampo, slogan elettorali, senza mai toccare le vere cause strutturali della crisi.
Si discute di welfare, ma non si dice che senza lavoratori non c’è chi lo sostiene. Si accusa la scuola di non preparare abbastanza, ma si fa poco per correggere la rotta. E sul tema immigrazione, lo scontro è tra chi vorrebbe aprire le frontiere senza criteri, e chi le vorrebbe sigillate per principio. In mezzo, nessuna strategia seria. Nessun filtro per attrarre professionalità qualificate, nessuna visione per integrare chi davvero può contribuire. Un esempio clamoroso? I figli e nipoti degli italiani emigrati negli anni Cinquanta in Sud America. Molti di loro hanno ancora il passaporto italiano, parlano la lingua e sono culturalmente affini.
Eppure, vanno a lavorare in Spagna o in Germania, non da noi. Nessuno li cerca, nessuno li incentiva. Eppure sarebbero una risorsa naturale, già pronta. Stessa miopia sulla formazione: le nostre imprese industriali lamentano un tasso di mismatch del 73,5%, quelle dei servizi del 65%. Tradotto: mancano tecnici, meccanici, manutentori, operai specializzati. Mancano laureati STEM, infermieri, statistici, informatici, analisti di dati, esperti di cybersicurezza, sviluppatori, cloud architect, specialisti di intelligenza artificiale. L’elenco è lungo e in continua crescita.
In un paese normale, il governo e le forze politiche si unirebbero, con le parti sociali, per costruire una strategia seria e condivisa. Per correggere la rotta, per attrarre e formare i talenti necessari, per governare l’immigrazione e renderla una leva produttiva e sociale. E invece si va avanti per slogan, tra chiusure pregiudiziali e aperture irresponsabili. Senza una bussola, mentre il mondo corre. È ora di cambiare verso, prima che sia troppo tardi. Il tempo della distrazione è finito: o affrontiamo il nodo demografico con serietà e intelligenza, o saremo noi a pagarne il prezzo, tutti.
-Foto IPA Agency-
(ITALPRESS).