
Il generale Roatta, figura contorta che ha attraversato la storia italiana dal fascismo agli anni di piombo, con la mancata epurazione e l’ottenimento dell’amnistia, è stato protagonista dell’appuntamento tenutosi questa sera presso Porto Burci (Contrà del Burci 27) a Vicenza, con la partecipazione dell’autore, lo storico Davide Conti.
L’obiettivo della serata è stato ripercorrere la complessa figura di Mario Roatta, simbolo della transizione italiana dal fascismo alla Repubblica e della mancata resa dei conti con i crimini di guerra.
A introdurre l’autore Davide Conti – storico e attualmente consulente della Procura di Bologna per l’inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980 – è stato Luigi Poletto, presidente di ANPI Vicenza (tra le molte associazioni che hanno promosso l’appuntamento), co-fondatore dell’Associazione “Giacomo Matteotti” Vicenza, e attivo nell’ISTREVI oltre che nell’Associazione dei Giuristi Democratici “Gianni Cristofari”.
Nel volume, edito da Salerno Editrice nella collana Piccoli Saggi, il racconto della biografia di Roatta è in realtà un pretesto per compiere una riflessione più ampia: il tema della continuità dello Stato e soprattutto il carattere della nostra democrazia difficile, come l’ha definita Aldo Moro negli anni 60 e 70.

Durante il periodo fascista, Roatta fu esponente al vertice degli apparati repressivi e segreti dello Stato italiano, prima come Capo del Servizio informazioni militari (Sim), poi responsabile del corpo volontario del fascismo a fianco di Franco nella guerra civile spagnola e promosso capo di Stato Maggiore del regio esercito. Ancora, al comando della Seconda Armata, durante l’occupazione italiana dei Balcani.
Il 26 luglio 1943, Roatta promulga una circolare che ordina lo sparo delle forze armate contro le manifestazioni popolari che all’indomani dell’annuncio della caduta di Mussolini stanno riempiendo le piazze, non solo per festeggiare la caduta del dittatore, ma anche e soprattutto per chiedere la fine della guerra. La circolare porterà a 80 morti e 1500 feriti. “In questo passaggio troviamo immediatamente la conformazione di una continuità dello Stato che sarà la cifra della transizione dal fascismo alla democrazia, anche dopo la nascita della Repubblica e la promulgazione della Costituzione Repubblicana; Mario Roatta prepara il dopo quando il dopo ancora non è arrivato” afferma Conti.
Roatta è il primo nome iscritto nella lista dei (quasi) 2.000 criminali italiani consegnata alle Nazioni Unite dopo la guerra per essere processati di fronte a un tribunale penale internazionale per i crimini contro l’umanità.
“L’Italia è l’unico dei tre anelli della catena nazifascista dell’Asse a non celebrare al suo interno una Norimberga che quindi consenta, non solo un’epurazione rapida ed efficace, quanto la messa a punto di una ricostruzione e di una elaborazione del proprio passato nazionale che consenta una condanna senza nessuna remora del fascismo” continua lo storico. L’Italia procederà invece a un racconto della Seconda guerra mondiale poggiante sulle “stampelle” della Resistenza e del paradigma vittimario, cioè dell’Italia che subisce l’occupazione nazifascista.
Figure dunque come il generale Roatta che rimarranno impunite nella storia, anche perché alla luce del nuovo blocco occidentale a guida anglo-americana, epurare le alte cariche avrebbe significato la necessità di sostituirle con quel personale politico e militare proveniente dalla Resistenza, che per il 70% faceva capo ai partiti comunista e socialista (all’epoca alleati di Mosca, cioè alleati del paese contro cui l’alleanza atlantica si stava organizzando). “Arruolarono anzi un personale politico già ideologicamente formato alla battaglia anticomunista, quale quello fascista. E’ questo il motivo per cui al 1964, 62 prefetti su 62 sono di carriera fascista in Italia, 125 su 127 tra questori e vicequestori sono di carriera fascista” e così via.
Alcuni elementi della “particolare condizione” italiana: il fatto che ci sia stata una “resa incondizionata” da parte dell’Italia (e che solo nel nostro Paese venga in realtà definita “firma dell’armistizio”); la necessità delle forze monarchiche di accettare la sconfitta alle elezioni del 1946 e la pressione su un paese sconfitto da parte di due dei paesi vincitori: l’Unione Sovietica fece pressione di Togliatti e gli Stati Uniti fecero pressione su De Gasperi, imponendo la firma sull’amnistia che portava la data del 22 giugno 1946. “Un provvedimento che dunque segna da un lato il massimo della continuità dello Stato, ma allo stesso tempo consente al nostro paese la rottura più evidente e profonda, la discontinuità rispetto al passaggio di transizione dal fascismo alla democrazia”.
Il provvedimento citato permise la transizione della figura di Roatta nella Repubblica e ciò risignificò i termini della lotta politica nel nostro paese dal 1969 al 1984. Se nel primo decennio della Repubblica ancora non venne attualizzata la Costituzione attraverso leggi e istituzioni, questa cominciò a prendere forma l’11 dicembre del 1969, quando il Senato votò l’approvazione dello Statuto dei lavoratori. Il giorno successivo prese il via il periodo della “strategia della tensione”; ritroveremo Roatta in alcuni di questi passaggi di carattere eversivo.
Processato, il generale Roatta scappò in Spagna prima della condanna, e venne poi prosciolto grazie all’amnistia. Merito del volume dello storico Davide Conti è far comprendere una personalità simbolo della fase di transizione italiana dal fascismo alla democrazia e di come la “continuità dello Stato” ebbe conseguenze sulla nascita e lo sviluppo della neonata Repubblica.
Un monito finale dello storico: la Costituzione è nata dalla capacità di applicare il dettato costituzionale pur con enormi sacrifici e contrasti negli anni seguenti, e rimane l’ultimo baluardo di difesa del diritto delle persone, anche in tempi difficili.



































