
(Articolo su Maurizio Boni da Vicenza PiùViva n. 297, sul web per gli abbonati ora anche il numero di 298 di maggio, acquistabile in edicola in versione cartacea).
«Non avremo ulteriori invasioni territoriali della Russia in Europa. Ma la guerra fredda si evolverà nelle componenti strategiche, cyber e spaziali».
Se lo ricorda bene quel giorno di dicembre del 1992, quindi tre anni dopo la caduta del muro di Berlino, e si ricorda anche il nome del capo della delegazione militare ungherese, il generale Jànos Kovàcs.
L’Ungheria aveva ormai lasciato il Patto di Varsavia e si accingeva ad entrare nella NATO per cui non aveva più nulla da nascondere, nemmeno i piani di invasione dell’Italia studiati dall’Unione Sovietica, spiegati nei dettagli. «E le difese aeree che avevamo all’epoca nel nostro Paese, probabilmente, sarebbero risultate inutili».
Ce l’ha confidato a margine di una nostra intervista Maurizio Boni, vicentino di 65 anni, generale in pensione, grande esperto e conoscitore degli scenari militari internazionali con esperienze in Inghilterra e Portogallo. Ora scrive e divulga temi su politiche in tema di sicurezza e difesa.
Insomma, i russi non scherzavano, allora come adesso. Nella guerra fredda degli Anni ’90 e nella guerra di invasione dell’Ucraina negli ultimi tre anni. È un pensiero che non segue il “mainstream” principale il suo, anzi va un po’ controcorrente, tanto che ha voluto premetterlo prima di iniziare il nostro dialogo.
«Il confronto strategico tra NATO e Russia si è sviluppato nel tempo – afferma Maurizio Boni – basta analizzare tutto quello che è stato il periodo dopo la guerra fredda. C’è stata una visione dei neoconservatori americani che ha drogato il rapporto con la Russia, se pensiamo che negli Anni ’90 per molti la Russia doveva far parte del sistema di sicurezza occidentale. Poi sono state fatte altre scelte e siamo andati alla deriva da questa visione. Sono stati fatti cinque sostanziali errori da parte dell’occidente, in particolare da coloro che dettano le linee strategiche (Stati Uniti e Gran Bretagna) e dai paesi che storicamente hanno avuto problemi con la Russia, vedi la Polonia, gli stati baltici ma anche la Germania».
Secondo Boni i 5 errori “capitali” sono stati:
1. Pensare che la Russia sarebbe rimasta un partner strategico.
2. Credere che l’allargamento della NATO e dell’UE sarebbero stati compatibili con gli interessi russi.
3. Immaginare che la NATO avrebbe avuto mesi di preavviso in caso di attacchi convenzionali nei propri territori, facendosi trarre in inganno dal calo degli investimenti militari russi.
4. Illudersi che le crisi all’interno e all’esterno del continente europeo sarebbero state di modesta entità, lente nel loro sviluppo e scevre dalle manipolazioni delle grandi potenze.
5. Ipotizzare che il ruolo principale della NATO sarebbe stato quello della gestione delle crisi e non quello della difesa collettiva (articolo 5).

Per Maurizio Boni questi sono stati i capisaldi del pensiero americano, ampiamente sposato da tutta l’Alleanza Atlantica fino al 2014, anno dello shock strategico della conquista della Crimea da parte dei russi, che ha fatto capire chiaramente che i presupporti erano sbagliati.
Il suo ragionamento arriva fino al 2008 quando viene offerta a Georgia e Ucraina la membership con la NATO: dal quel momento i russi capiscono che è stato marcato il punto di non ritorno e che non c’è nessuna volontà di fermarsi da parte dell’Occidente.
«Georgia e Ucraina sono la cintura di sicurezza russa, la loro zona cuscinetto – analizza il generale Boni – perchè fanno parte dei territori delle ex Repubbliche Sovietiche sulle quali intende esercitare la sua influenza strategica, per cui non accetterà mai che l’Ucraina entri nella NATO. Per loro è un fatto esistenziale».
In effetti anche una recentissima inchiesta del New York Times ha evidenziato la responsabilità americana nella condotta della guerra, un test per tentare di far cadere il governo russo, sconfiggendoli militarmente in Ucraina e metterli fuori gioco nei rapporti di potere con i cinesi.
«Anche il trattato di Istanbul – prosegue Boni – che stava per essere firmato nel 2022 pochi mesi dopo l’offensiva russa e che prevedeva un piano di pace, è stato ostacolato da Stati Uniti e Gran Bretagna che hanno fisicamente impedito a Zelensky di sottoscriverlo; avrebbe impedito distruzione e morte.
Dal canto suo Putin riprende la dottrina di Primakov, ex ministro degli esteri russo, che mira a far riprendere alla Russia quell’influenza forte sui territori della Federazione, che aveva prima di Eltsin e Gorbaciov. Per fare ciò ha dato a Gerasimov, capo di stato maggiore generale delle Forze armate russe, l’incarico di ristrutturarle avviando un processo di trasformazione con grandi investimenti tecnologici a discapito, ad esempio, del reclutamento di nuovi soldati, visti anche i problemi demografici che colpiscono pure la Russia. Ora si punta su operazioni di destabilizzazione dei governi e l’esempio arriva proprio da quanto accaduto nel 2008 in Georgia dove in cinque giorni la
Russia ha sconfitto i ribelli con una forza militare ridotta e una massiccia azione di disinformazione e comunicazione strategica che riesce a manipolare, in qualche modo, l’opinione pubblica portata dalla parte dei russi. L’azione in Crimea nel 2014 è il modello georgiano ampliato e migliorato con infiltrazioni di elementi filorussi che in 48 ore occupano tutti gli edifici giocando molto sull’elemento sorpresa. Stessa cosa stava per accadere in Ucraina con l’infiltrazione di elementi filorussi nelle sedi istituzionali ma la cosa non è andata in porto solo perché gli inglesi hanno capito cosa stava accadendo e hanno avvisto Zelensky.
I decisori europei non hanno mai studiato e capito quello che è accaduto nel recente passato ed ora siamo in grave difficoltà, anche perché chi ha preso quelle decisioni non vuole ammettere di aver sbagliato.
Stiamo subendo l’iniziativa di una piccola parte di Unione Europea che intende sconfiggere militarmente la Russia, basta vedere la posizione più volte affermata ufficialmente dall’estone Kaja Kallas, vicepresidente della Commissione europea.
Personalmente ne ho scritto anche nel mio ultimo libro La guerra Russo-Ucraina, strategie e percezioni di un conflitto intra-europeo.
La Russia fino a che punto avanzerà in Ucraina?
«Secondo me l’idea che i russi vogliano proseguire, in caso vincano in Ucraina, il loro sforzo bellico non è un’ipotesi sostenibile. Ottenuto ciò che volevano a est, non hanno alcun
interesse a proseguire a ovest di Dnipro dove troverebbe gli ucraini storicamente più ostili ai russi. Bisogna ricordare che nella seconda guerra mondiale i nazisti ucraini legati al distretto della Galizia del Reichskommissariat Ukraine hanno combattuto contro l’Armata russa. Se ora Putin si spingesse in questi territori troverebbe scenari di guerriglia urbana modello Afghanistan e Iraq. Quelli che sta conquistando ora sono invece tereni filo russi dove due milioni e 852 mila cittadini ucraini sono fuggiti in Russia, perché là vogliono stare”.
È da escludere la volontà di aggredire altri paesi europei?
Proseguire l’offensiva oltre l’Ucraina non porterebbe ad alcun vantaggio per la Russia, primo perché farebbe scattare l’applicazione dell’articolo 5 della NATO, ovvero l’avvio di una difesa collettiva e poi perché agli occhi dei nuovi partners come Cina, India e alcuni paesi africani sarebbe una cosa inaccettabile e ne perderebbe in credibilità. La Russia ha mezzi militari importanti con missili balistici e nucleari e una componente strategica non convenzionale notevole, sia cyber che spaziale. L’Europa, che ora intende riarmarsi, probabilmente non riuscirà comunque a pareggiare il potenziale russo. Quindi non aspettiamoci che i carri armati entrino a Varsavia o a Berlino, ma che la guerra fredda prosegue sfruttando tutte cose non convenzionali, quello sì”. Vicenza potrebbe rischiare qualcosa o adesso che non ci sono più siti può sentirsi tranquilla?
È vero che nel nostro territorio sono stati smantellati tutti i siti militari esistente durante la guerra fredda, ma ricordiamoci che abbiamo sempre due basi militari americane e, potenzialmente, sono obiettivi possibili?
Strategicamente, in Europa, quelli più “appaganti” sono in Germania perché in Italia abbiamo solo Aviano come punto rilevante. Ma pensare ad un attacco russo ce ne vuole.
È pensabile una riattivazione di alcuni siti strategici e cosa potrebbe comportare per il territorio?
Intanto ripristinare un sito dismesso necessita del consenso da parte del Governo, con tutto ciò che comporta, per cui la ritengo una cosa praticamente impossibile. La contrapposizione tra est ed ovest faceva parte di uno scenario operativo che oggi non esiste più e non è più ripetibile perché non dobbiamo più condurre una battaglia difensiva sul territorio italiano. Oltretutto servirebbe un investimento miliardario che non saremmo in grado di sostenere. E dobbiamo essere consapevoli che l’Italia, nello scacchiere terrestre globale, non copre una posizione così rilevante. Lo siamo di più nell’area allargata del Mediterraneo”. Insomma, il generale Kovacs di turno, stavolta avrebbe meno da raccontare e da mostrare.