Il procuratore capo di Vicenza Cappelleri ha incontrato le Mamme No Pfas il 18 aprile. Affermazione da chiarire se vera: “ha detto che Miteni inquinava sapendo di inquinare”

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Pubblichiamo, come sempre, la nota sull’incontro di ieri tra il procuratore capo di Vicenza Antonino Cappelleri e le Mamme No Pfas con la (se vera) grave affermazione che il procuratore avrebbe loro rivelato, a indagini in corso, che «se Miteni ha scelto l’Italia, è perché conosceva la debolezza interna del sistema; le sostanze inquinanti, che oramai in modo certo Miteni ha scaricato, all’epoca non erano previste tra quelle espressamente vietate dalle leggi antinquinamento. Il Procuratore aggiunge che “per l’accusa Miteni sapeva di inquinare”». Frase che, anche perché contraddittoria nei suoi passaggi di accusa data per verificata, sarebbe opportuno che confermasse, smentisse o chiarisse Cappelleri stesso. Ecco di seguito la nota. Il direttore Giovanni Coviello

Oggi 18 aprile 2018 (ieri per chi legge), come MAMME NO PFAS rappresentanti delle tre province contaminate, Padova, Vicenza e Verona, accompagnate da un papà e dall’Avv. Edoardo Bortolotto, siamo state ricevute dal Procuratore della Repubblica di Vicenza, Antonino Cappelleri. 

Il Procuratore ci ha ascoltate con molta attenzione e ci ha aggiornate su quanto sta accadendo in merito alle indagini che interessano la Società Miteni per quanto riguarda l’inquinamento da PFAS.Un punto fondamentale per l’accertamento delle responsabilità penali sembra essere quello di chiarire se e quanto queste sostanze rappresentino un reale rischio per la salute umana. A tal fine la Procura si sta avvalendo della collaborazione di consulenti di calibro internazionale per far luce su questo aspetto. Gli esiti delle perizie, a detta del Procuratore, dovrebbero essere pronti prima dell’inizio dell’estate. Il Procuratore aggiunge «Se ci dovessero confermare un apprezzabile rischio per la salute umana, possiamo configurare un reato di disastro ambientale e procedere». 
Le indagini dovranno concludersi prima della fine del 2018: «Dobbiamo far presto – prosegue Cappelleri – perché la norma ci impone di chiudere le indagini entro due anni al massimo dall’iscrizione nel registro degli indagati».
Purtroppo non essendoci concordanza tra gli studi scientifici ad oggi presenti in letteratura internazionale, in molti stanno attendendo gli esiti del piano di sorveglianza promosso dalla Regione Veneto, il quale non solo per essere completato necessita comunque di un lungo periodo, ma presenta molte lacune.
Abbiamo fatto notare che tale piano di sorveglianza promosso dalla Regione Veneto, così come è stato impostato, presenta molteplici carenze in termini di inclusione/esclusione delle persone esposte in funzione della loro età, dell’effettiva esposizione agli inquinanti e di eventuali patologie PFAS correlate già in atto (si sarebbe dovuto iniziare lo screening sanitario a partire dall’età pediatrica -dalle persone con determinate patologie già in atto, dalle persone che risiedono nelle zone contaminate da tanti anni ecc ecc ). Questi aspetti, che abbiamo riportato al Procuratore, portano ad avere dati che non rispecchiano la reale situazione sanitaria dei 21 Comuni esposti all’inquinamento da PFAS. Infatti i primi dati forniti differiscono notevolmente da ciò che evidenziano i medici di famiglia che hanno a disposizione tutti i dati relativi ai loro pazienti, alle loro abitudini e alle patologie probabilmente PFAS correlate.
Abbiamo espresso la nostra paura per i nostri figli, perché i preposti che ci dovevano tutelare e garantire acqua pulita sono gli stessi che adesso stanno certificando l’acqua che beviamo.
Il Procuratore sostiene che, vista la difficoltà attuale nell’accertare l’effettiva esistenza del nesso causa-effetto, dal punto di vista processuale la strategia scelta è quella di provare che l’immissione nell’ecosistema di queste sostanze costituisce un rischio reale. Per dichiarare che esiste una responsabilità da cui deriva anche un danno si devono attendere i risultati dei consulenti e la cosa non è scontata…
Cappelleri aggiunge che, se Miteni ha scelto l’Italia, è perché conosceva la debolezza interna del sistema; le sostanze inquinanti, che oramai in modo certo Miteni ha scaricato, all’epoca non erano previste tra quelle espressamente vietate dalle leggi antinquinamento. Il Procuratore aggiunge che “per l’accusa Miteni sapeva di inquinare”.
Abbiamo presentato al Procuratore istanza di sequestro immediato di Miteni e di tutto il sito, perché Miteni non riuscirà comunque a portare a termine la bonifica in un tempo considerato accettabile.
Noi ci schieriamo comunque a fianco dei lavoratori dando loro il nostro completo sostegno e attivandoci affinché possano essere immediatamente ricollocati. 
Il materiale contaminato presente sotto l’azienda deve essere immediatamente rimosso in modo completo, solo così si potrà fermare l’inquinamento che sta tutt’ora continuando.
Ciò non è realizzabile con la società in produzione.

Mamme No Pfas