In Italia 215mila portatori sindrome di Lynch, cos’è e a cosa predispone

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(Adnkronos) – In Italia si stima ci siano 215mila portatori della sindrome di Lynch. Conosciuta inizialmente come cancro colorettale ereditario non poliposico (Hnpcc), la sindrome di Lynch è una condizione genetica che predispone allo sviluppo di diversi tumori, in particolare del colon-retto e dell’endometrio. È causata da mutazioni nei geni deputati alla riparazione del Dna (MLH1, MSH2, MSH6, PMS2 ed EPCAM) ed è trasmessa in modo autosomico dominante: un figlio di un genitore portatore ha quindi il 50% di probabilità di ereditare la mutazione. Accendere i riflettori su questa condizione genetica poco conosciuta, ma altamente impattante sulla salute, è l’obiettivo del Progetto Pro-Lynch, un’iniziativa promossa da Fondazione Mutagens – ente del terzo settore che supporta pazienti con sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori -, realizzata in partnership con Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) e con la sponsorship di Gsk (GlaxoSmithKline). Elemento centrale del progetto è la survey nazionale, che ha coinvolto centinaia di portatori sani e pazienti oncologici, per fotografare in modo accurato i bisogni, le aspettative e le criticità legate alla gestione clinica e alla qualità della vita.  
I risultati confluiranno in un position paper, in uscita a settembre 2025, che oltre ai dati emersi evidenzierà anche le principali lacune normative e amministrative che impattano sulla qualità della vita dei portatori. Il documento sarà sottoposto alle istituzioni sanitarie nazionali e regionali, con l’obiettivo di promuovere un miglioramento concreto della presa in carico, a partire dall’inserimento del test universale reflex per la diagnosi della sindrome nei Livelli essenziali di assistenza (Lea). L’indagine ha coinvolto non solo gli iscritti alla Fondazione Mutagens, ma anche i membri dell’associazione Aptead (Associazione pazienti tumori ereditari apparato digerente) e i pazienti in carico ad alcuni centri nazionali di eccellenza, tra cui l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, l’Ifo Regina Elena e il Policlinico Gemelli di Roma, l’ospedale S. Anna Città della Salute di Torino. "Il profilo dei partecipanti evidenzia una netta prevalenza femminile (78%), con una concentrazione maggiore nella fascia d’età over 40 (63%) e un’ampia rappresentanza dal Nord Italia (48%). La maggior parte dei rispondenti – si legge nella survey – vede la propria condizione principalmente come un rischio e una fonte di preoccupazione, con notevoli differenze in base al sesso e all'età. Le donne (63%) tendono a percepirla come un rischio, mentre gli uomini (54%) specialmente i più giovani (80%) la vedono come un'opportunità di prevenzione e diagnosi precoce. Dalle risposte emerge con forza un bisogno urgente e ancora poco soddisfatto di informazione, accesso equo ai servizi e supporto concreto nella gestione della malattia".  "Il 42% degli intervistati, ad esempio, segnala difficoltà ad accedere ai test genetici, a causa della scarsità di informazioni e della mancanza di strutture adeguate. Anche sul fronte della prevenzione farmacologica, le lacune sono evidenti – rimarca l'indagine – il 49% dei partecipanti ha dichiarato di non aver ricevuto proposte di interventi preventivi farmacologici o chirurgici e il 79% non conosce i benefici dell’aspirina nella prevenzione del tumore al colon. Il tema dello stile di vita, fondamentale per la prevenzione, resta in secondo piano: solo il 28% dei partecipanti dichiara di seguire indicazioni mediche specifiche soprattutto per quanto riguarda l’alimentazione, mentre il 42% non adotta alcuna misura preventiva" Anche sul versante della sorveglianza clinica si registrano criticità: "nonostante il 61% dei partecipanti segua un programma di sorveglianza, il 46% degli over 40 lo ritiene migliorabile, indicando criticità nel monitoraggio. Inoltre, emergono numerose segnalazioni di difficoltà logistiche, mancanza di centri specializzati e complessità nell’organizzazione dei follow-up. La colonscopia, esame di riferimento per la diagnosi precoce, è vissuta con disagio dal 63% degli intervistati, che auspicano alternative meno invasive. Nonostante tutto, l’apertura verso l’innovazione è evidente – riscontra la survey – Il 49% del campione si dichiara favorevole all’utilizzo della biopsia liquida come metodica di diagnosi precoce non invasiva e ben il 91% si dice pronto a considerare vaccini terapeutici e preventivi, qualora disponibili in futuro. Indicatori chiari di un’utenza informata, attenta e pronta a partecipare attivamente alla propria salute, se adeguatamente ascoltata e coinvolta".  I dati raccolti dalla survey nazionale non sono rimasti numeri su carta, ma sono stati trasformati in materia viva per dare forma a un documento concreto e orientato al cambiamento. Il documento sollecita inoltre una revisione delle politiche pubbliche in termini di prevenzione, proponendo programmi di sorveglianza sugli organi a rischio e percorsi specifici dedicati all’alimentazione e agli stili di vita, così come un ampliamento dell’accesso ai test molecolari e alle terapie personalizzate. L’intento è chiaro: superare le attuali disomogeneità territoriali e costruire un sistema di tutela che sia davvero universale. Come ricorda Salvo Testa, presidente della Fondazione Mutagens: "La sindrome di Lynch è figlia di un dio minore: tra le sindromi ereditarie oncologiche è spesso dimenticata. Con questo progetto – prosegue Testa – vogliamo portarla al centro dell’attenzione istituzionale, affinché il test genetico diventi un diritto garantito per tutti, e si colmi il divario esistente con altre condizioni genetiche oggi più tutelate”.  Il position paper sarà sottoposto a istituzioni sanitarie nazionali e regionali come atto di advocacy e stimolo al cambiamento. "È un invito a non lasciare indietro chi, oggi, affronta il rischio oncologico con strumenti troppo spesso insufficienti e in un contesto ancora poco consapevole del valore della prevenzione genetica", conclude la nota.  —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)