La Cassazione conferma l’insolvenza della Banca Popolare di Vicenza: ora si riapre la strada al reato di bancarotta per Giovanni Zonin & c.?

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Gianni Zonin e lo stato di insolvenza della Banca Popolare di Vicenza.
Gianni Zonin e lo stato di insolvenza della Banca Popolare di Vicenza.

Con la sentenza n. 20553/2025, pubblicata il 21 luglio 2025 (clicca qui per scaricarla), la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di Giovanni Zonin, ex presidente della Banca Popolare di Vicenza, confermando lo stato di insolvenza dell’istituto decretato già nel 2019 dalla Corte di Appello. Una decisione che potrebbe aprire nuove prospettive anche in ambito penale, rilanciando l’ipotesi di bancarotta fraudolenta, finora rimasta sullo sfondo del lungo contenzioso civile e amministrativo.

La Corte Suprema, con un’articolata ordinanza della Prima Sezione Civile (relatore Alberto Pazzi, presidente Luigi Abete), ha confermato quanto già stabilito dal Tribunale di Vicenza nel 2019 e dalla Corte d’Appello di Venezia: la Banca Popolare di Vicenza, al momento della liquidazione coatta amministrativa (“decretata” il 25 giugno 2017), versava in uno stato di insolvenza patrimoniale conclamato. La sentenza chiude così un decennale contenzioso civile sul piano dell’accertamento dello stato passivo della banca, ma apre uno spiraglio importante sul piano penale.

Il nodo dell’insolvenza: patrimonio negativo per 436 milioni di euro

Secondo quanto riportato nella sentenza, il patrimonio netto di BPVi, pur iscritto formalmente per 2 miliardi di euro, è stato rettificato in negativo per 436 milioni, a causa delle perdite potenziali e della necessità di considerare le massicce erogazioni pubbliche (2,4 miliardi di euro) come parte del prezzo negativo pagato per cedere l’“insieme aggregato” a Intesa Sanpaolo. La Banca Centrale Europea, già il 23 giugno 2017, aveva del resto dichiarato la banca “vicina al dissesto”, privandola della possibilità di proseguire l’attività.

Le valutazioni dei giudici di merito e della Cassazione si sono basate, tra l’altro, su perizie tecniche e su dati oggettivi forniti dai commissari liquidatori, secondo i quali i conti di BPVi erano irrimediabilmente compromessi. Le attività fiscali (DTA) non potevano essere considerate al valore pieno, dato che la loro utilizzabilità era subordinata all’esistenza di utili futuri, allora del tutto ipotetici. E lo stesso contratto di cessione a Intesa prevedeva un riconoscimento convenzionale limitato a 305 milioni.

La Cassazione chiude, ma può aprire un nuovo fronte

Ma è proprio la conferma definitiva dello stato di insolvenza – requisito necessario per procedere penalmente per il reato di bancarotta – a riaccendere ora l’interesse sul fronte giudiziario. Finora, i procedimenti penali su Zonin e gli altri ex vertici della BPVi si erano arenati, per il possibile reato di bancarotta, sull’assenza di una sentenza passata in giudicato che certificasse la condizione di dissesto: una condizione ora cristallizzata.

Infatti, il reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 R.D. 267/1942) richiede, come condizione di procedibilità, l’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza. Con questa ordinanza, la Cassazione colma tale lacuna. Non a caso, negli ambienti giudiziari si torna a parlare della possibile riapertura del fascicolo penale a carico di Zonin e degli altri amministratori per fatti antecedenti alla liquidazione coatta: in particolare, le operazioni di aumento di capitale, l’acquisto forzato di azioni da parte dei soci, la gestione delle sofferenze e la falsificazione dei bilanci.

Riaprire il penale: un dovere o un’opportunità?

Se da un lato il filone civile ha ormai sancito il default dell’istituto, dall’altro resta aperta la ferita di giustizia per migliaia di azionisti danneggiati e solo in parte indennizzati tra mille lacci e lacciuoli di una legge innovativa (quella istitutiva del FIR) ma tortuosa e parziale. La possibilità che la Procura della Repubblica di Vicenza – o altra sede competente – riattivi l’inchiesta penale appare oggi più concreta. Secondo alcuni giuristi, si configurerebbero gli estremi per almeno due ipotesi di reato:

Senza dimenticare che la posizione di Zonin e degli altri consiglieri già coinvolti potrebbe essere aggravata dalla responsabilità per il danno arrecato ai risparmiatori, in una vicenda che ha coinvolto quasi 120.000 soci.

Giustizia a orologeria o via obbligata?

A distanza di otto anni dalla liquidazione della Popolare di Vicenza, la verità giudiziaria sull’insolvenza è stata messa nero su bianco. Ma la verità giudiziaria completa, soprattutto quella penale, resta da scrivere. Dopo anni di rinvii, archiviazioni e prescrizioni sfiorate, la sentenza 20553/2025 della Cassazione restituisce agli inquirenti lo strumento giuridico per agire.

Il tempo, però, stringe. E l’opinione pubblica – specie in Veneto – non ha dimenticato. Per molti, sarebbe il momento di “non disertare il giudizio”.