
(Articolo sullo scambio in teologia da Vicenza PiùViva n. 297, sul web per gli abbonati ora anche il numero di 298 di maggio, acquistabile in edicola in versione cartacea).
Partendo da questo “modo di fare scambio” si può arrivare ad una ricchezza equa eliminando o riducendo le fasce di povertà.
Se andassimo a leggere la voce scambio, nella versione online del Dizionario della Treccani, scopriremo come lo scambio sia un gesto che ha grande influenza nella nostra vita. Questa forma del cedere qualcosa in cambio di un’altra ha dato origine al baratto, azione con la quale lo scambio di oggetti veniva fatta sostanzialmente alla pari, senza il bisogno di definire un’unità di misura di valore monetario.
Alcuni economisti, tra i quali Adam Smith, lo ritengono la prima forma di commercializzazione. Successivamente questa forma di scambio “alla pari” ha cambiato modalità ed è diventata una cessione di un bene in cambio di moneta, aprendo così la strada ad una profonda trasformazione dello scambio che diventa così fonte di guadagno.
La generazione di ricchezza, che nasce da questa forma di commercializzazione che è diventato lo scambio, ha di fatto innescato una spirale dove ciò che conta è guadagnare il più possibile l’uno a scapito dell’altro, arrivando a generare anche forme di
povertà e perdendo così il senso originario dello scambio.
Gli avvenimenti di questi giorni con l’introduzione o, meglio, con l’esasperazione dello strumento dei dazi, hanno iniziato a far riflettere molte persone, perché sostanzialmente queste “tariffe” hanno di fatto scatenato una guerra commerciale: può cambiare l’aggettivo ma il sostantivo rimane, si tratta di guerra.
In questo contesto la celebrazione
dell’Eucaristia può aiutarci a ritornare alle origini dello scambio, del suo senso iniziale. Infatti, dopo la recita della preghiera del Padre Nostro, il sacerdote, dopo aver detto che la pace del Signore è con l’assemblea, continua con un invito: «Scambiatevi il dono della pace». Ecco la novità, lo scambio come dono, e il dono esprime la gratuità, non è un dare per ricevere o sperare di ricevere qualcosa in cambio. È un “dare” senza chiedere niente in cambio. Dare o donare per noi è la stessa cosa, ma ciò che li distingue o li diversifica è la fonte che è l’amore; infatti, alla base del dare c’è l’amore egoista che dà per avere qualcosa in cambio, magari maggiore di quanto dato. Mentre alla base del dono c’è l’amore oblativo che dà, meglio dona gratuitamente senza chiedere o sperare niente in cambio. Questa modalità ha la sua origine in Dio, il quale come ci ricorda Gesù «ha tanto amato il mondo da donare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3.16). La pace che siamo chiamati a donare è il dono che il Risorto fa alla sua Chiesa e non un prodotto delle relazioni umane, che ricevono luce nuova scambiandosi questo dono con un gesto che lo esprima e lo renda concreto. Il gesto indica qualcosa di molto più alto e non è l’oggetto proprio di ciò che viene reciprocamente offerto, non è la nostra pace che comunichiamo, né i buoni sentimenti e i pii desideri, ma la pace che sgorga dalla Pasqua di Cristo, è il suo dono di Risorto: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”» (Gv 20,19-21). È da questo dono che il mondo deve ripartire, se vuole veramente iniziare un’epoca di pace, dove non prevalga più la legge del più forte alimentata dal cercare sempre più ricchezza a scapito degli altri. È partendo da questo “modo di fare scambio” che si può arrivare ad una ricchezza equa eliminando o riducendo le fasce di povertà.
Capisco che tutto questo è utopia, ma l’utopia rimanda alla speranza e senza speranza l’uomo smette di sognare e muore, anche se apparentemente è vivo, perché ciò che muore è il suo “io” interiore, e questo provoca scelte sbagliate.