Lotta all’evasione, Stefano Feltri su Il Fatto: “il contratto prevede il carcere, finora il governo l’ha ignorato”

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Il problema è noto: dove si trovano i 23 miliardi che servono a impedire l’aumento dell’Iva da gennaio 2020? E tutti gli altri – nessuno sa quanti – per flat tax, aiuti alle famiglie e sgravi fiscali? Il governo sembra avere un’unica risposta: ci vuole più deficit, e dunque più debito pubblico, la Commissione europea e i mercati se ne faranno una ragione. Eppure ci sarebbe un’altra strada: avviare una seria lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Come, peraltro, promesso dal contratto di governo Lega-Cinque Stelle.

PROMESSE E REALTÀ

Nel Def 9 miliardi in più dalla riscossione Ma restano le soglie penali alzate da Renzi
Dopo aver annunciato la cancellazione di alcuni strumenti di accertamento giudicati “vessatori” (spesometro, redditometro, split payment), il contratto di maggio 2018 prometteva quanto segue: “Anche in considerazione della drastica riduzione del carico tributario grazie alla flat tax e alle altre misure sopra descritte, sul piano della lotta all’evasione fiscale, l’azione è volta a inasprire l’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale, per assicurare il ‘carcere vero’ per i grandi evasori”. E poi ancora la promessa di rafforzare “la cooperazione internazionale in materia di scambio di informazioni” e di “prevenire l’elusione fiscale internazionale favorendo la tassazione dei grandi capitali esteri, nonché introdurre adeguate misure per il contrasto d’interesse”. Gli strumenti “vessatori” sono stati neutralizzati, ma di tutto il resto – soprattutto del “carcere vero per i grandi evasori” – non c’è traccia.

Nell’autunno 2018 i Cinque Stelle avevano provato a introdurre in un decreto fiscale l’articolo 11: “Inasprimento dell’esistente quadro sanzionatorio, amministrativo e penale per assicurare il carcere vero per i grandi evasori”. La Lega, invece, voleva un gigantesco condono per gli evasori. Il negoziato si è chiuso con un armistizio: condono ridimensionato e niente manette agli evasori (che, in teoria, dovrebbero essere condivise anche dalla Lega, firmataria del contratto). Il M5S ha più volte promesso di riprovarci. Ancora a febbraio 2019 il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede annunciava al Fatto una legge per cancellare “alcuni interventi vergognosi del governo Renzi sull’evasione fiscale, per esempio l’aumento delle soglie di punibilità per alcune fattispecie di reato. E per questo proporrò all’esecutivo di abbassarle”. Non è successo e le soglie di punibilità sono rimaste quelle alzate dal governo Renzi che nel 2015 ha reso quasi impossibili indagini e processi per reati fiscali: la soglia che fa scattare il reato di omessa dichiarazione di un reddito è salita da 30 mila a 50 mila euro; quella per gli omessi versamenti da 50 a 150 mila euro; se l’imposta non versata è l’Iva, la soglia è oggi addirittura 250 mila euro; e per la dichiarazione infedele si passa da 50 mila euro di imposta evasa a 150 mila. Cioè: chi fa ogni anno 300 mila euro di fondi neri (pari a 150 mila di mancate imposte) non commette reato, mentre chi ruba mille euro da un portafoglio rischia 6 anni di carcere.

Intendiamoci: abbassare quelle soglie e permettere ai magistrati di perseguire in sede penale evasori oggi impuniti non può risolvere i problemi del bilancio 2020 nell’immediato. Le entrate aggiuntive dalla lotta all’evasione sono, per definizione, incerte e quindi non dovrebbero essere usate per coprire spese certe e strutturali. Anche se il governo Conte lo ha fatto. Nel Documento di economia e finanza di settembre 2019, per rispettare almeno sulla carta i parametri europei, l’esecutivo ha già impegnato entrate aggiuntive dal contrasto all’evasione fiscale per lo 0,1 per cento del Pil nel 2021 e per lo 0,4 nel 2022 (1,7 e 6,8 miliardi circa). A oggi, però, non è chiaro da quali misure dovrebbe arrivare questo nuovo gettito.

Secondo l’ultimo rapporto del ministero dell’Economia, relativo all’anno fiscale 2016, oggi allo Stato mancano circa 90 miliardi di entrate ogni anno. È il tax gap, la differenza tra quanto il fisco dovrebbe incassare e quanto incassa davvero. Le imposte più evase, o eluse, sono l’Irpef sul lavoro autonomo (33,9 miliardi in un anno) e l’Iva (34,9 miliardi). Al conto vanno poi aggiunti 11 miliardi di evasione contributiva. Si può quindi dire che ci sono oltre 100 miliardi da recuperare, soldi che lo Stato – inteso come Tesoro, Inps, Inail e altre declinazioni – non incassa e lascia a evasori ed elusori. L’Agenzia delle entrate, nelle sue attività di contrasto all’evasione, riesce a riscuotere in un anno circa 20,1 miliardi. Anche se il grosso di questa cifra – 10,8 miliardi – deriva da controlli formali sulle dichiarazioni inviate, in cui l’Agenzia può notare imprecisioni o tentativi di nascondere reddito. L’attività di accertamento vera e propria, la caccia agli evasori, porta solo 8 miliardi di euro.

Ridurre anche solo da 100 a 80 o 70 miliardi le risorse che lo Stato non riesce a incassare permetterebbe di fare molte cose che oggi paiono impossibili: rispettare gli impegni già messi a bilancio, contenere il deficit e finanziare qualche intervento di spesa sul fisco (parte delle entrate dalla lotta all’evasione sono in teoria già vincolate a ridurre le tasse). Alzare le pene agli evasori farebbe arrabbiare tanti. Ma renderebbe più accettabili i sacrifici che il governo dovrà chiedere a quella vasta parte di Italia – i lavoratori dipendenti e gli onesti – che non può, o non vuole, evadere.

di Stefano Feltri da Il Fatto Quotidiano