
Le Mamme No Pfas non usano giri di parole: la strategia dei manager della Miteni è stata quella di privilegiare deliberatamente il “profitto economico a scapito della salute pubblica”. È questa la reazione della sigla storica che da anni combatte contro l’inquinamento nelle province di Vicenza, Verona e Padova, a pochi giorni dal deposito delle motivazioni della sentenza del Processo Miteni.
Secondo l’associazione, i giudici della Corte d’Assise di Vicenza hanno confermato che i vertici aziendali operavano in “piena consapevolezza delle criticità ambientali”. Con condanne complessivamente a 141 anni di carcere e che, in alcuni singoli casi, arrivano fino a 17 anni e mezzo, viene sancito che non si è trattato di un incidente, ma di una condotta volta a nascondere dati vitali per continuare l’attività d’impresa mentre il veleno si diffondeva sotto i piedi di 300 mila persone.
“Viene finalmente sancito – affermano le Mamme No Pfas – che non si è trattato di un incidente, ma di una strategia volta a nascondere dati vitali alle autorità pur di continuare l’attività d’impresa, accumulando ricchezza mentre il ‘plume’ tossico si diffondeva”. La sentenza di giugno, una delle più attese in Italia, ha condannato 11 manager per un totale di 141 anni di carcere.
Il Ministero dell’Ambiente ha ottenuto un risarcimento di 58 milioni di euro, mentre oltre 300 parti civili vedranno riconosciuti indennizzi per l’inquinamento delle falde. Tuttavia, su questi risarcimenti rimangono aperti i dubbi già sollevati in passato da questa testata, specialmente in merito alla reale esigibilità delle somme.
Per quanto riguarda l’aspetto sanitario, le Mamme No Pfas chiariscono un punto centrale delle motivazioni: se la sentenza cita l’ipercolesterolemia come patologia collegata, è perché il processo non era per lesioni ma per il danno da “metus”, ovvero la paura di ammalarsi. “Tuttavia la scienza parla chiaro”, incalzano le mamme citando la Iarc e l’Università di Padova.
“Gli studi confermano il legame tra Pfas e gravissime patologie: tumori, malattie cardiovascolari e alterazioni del sistema endocrino. Uno studio dell’Università di Padova ha rilevato un eccesso di quasi 4000 morti in 30 anni nelle aree colpite”. Nonostante ciò, denunciano le attiviste, lo studio epidemiologico non è mai partito dopo dieci anni di promesse.
La battaglia del movimento ora si sposta sulla realtà dei fatti, chiedendo alle istituzioni di abbandonare i proclami. “Siamo stati definiti una ‘popolazione soggetta a un’intossicazione collettiva cronica‘, eppure il terreno contaminato di Miteni a Trissino continua a rilasciare queste sostanze perché non si è ancora iniziata la bonifica”.
“La giustizia ha riconosciuto il crimine ambientale; ora si proceda con studio epidemiologico e bonifica!”, concludono le Mamme No Pfas. La richiesta è chiara: trasformare le conclusioni processuali in azioni concrete per la messa in sicurezza del territorio e la tutela della salute pubblica dei 350.000 cittadini coinvolti.






































