Marghera, sul FQ l’inchiesta della GdF: la “droga di Hitler” per sostenere i turni massacranti

247
Porto Marghera
È questo lo spaccato che emerge dall’inchiesta della Guardia di finanza di Mestre sullo sfruttamento massiccio delle maestranze (in maggioranza bengalesi) che vengono assoldate da società subappaltatrici, e da una seconda indagine dei carabinieri che un mese fa ha portato a un maxi-sequestro di pastiglie di Yaba

Drogarsi per poter lavorare, per sostenere i turni massacranti nei cantieri di costruzione delle grandi navi a Porto Marghera. Perché in gioco, con uno stipendio da fame, c’è anche la possibilità di mantenere il posto e di ottenere quindi il rinnovo del permesso di soggiorno. È questo lo spaccato che emerge dall’inchiesta della Guardia di finanza di Mestre sulla Fincantieri e sullo sfruttamento massiccio delle maestranze (in maggioranza bengalesi) che vengono assoldate da società subappaltatrici, e da una seconda indagine dei carabinieri che un mese fa ha portato a un maxi-sequestro di pastiglie di Yaba. La chiamano la”droga di Hitler”, perché durante la Seconda Guerra Mondiale i soldati del Terzo Reich ne facevano un uso massiccio, così da poter sostenere qualsiasi fatica. Ma anche la “droga della pazzia”, perché crea gravi danni al sistema nervoso, genera ansia e depressione, con il rischio di arrivare al suicidio. La Yaba è una droga sintetica a base di metanfetamina che induce uno stato di iper-eccitazione, riducendo allo stesso tempo la sensazione di fatica e di fame. A farne uso massiccio a Marghera sono proprio i bengalesi impegnati nella cantieristica.

Prima delle perquisizioni delle Fiamme Gialle nelle sedi di società che lavorano per Fincantieri (e nelle abitazioni di una dozzina di dirigenti indagati per corruzione tra privati), erano stati i carabinieri a scoprire che la comunità bengalese in Veneto fa un grande uso di quella droga. All’inizio di ottobre i militi del Nucleo investigativo di Venezia, in collaborazione con quelli della stazione di Roma Quadraro, avevano arrestato un grossista (Loftor Mohammad, quarantenne bengalese) e sequestrato 31mila pasticche, il quantitativo più massiccio di questa droga mai trovato in Italia. Erano nascoste nel sottofondo di una valigia e avevano un valore al dettaglio di 200mila euro. L’operazione “Yaba Smuggler” dei carabinieri (con sei indagati per spaccio) adesso si salda con “Paga globale” della Finanza. Vediamo perché. Loftor è accusato di aver rifornito droga a un connazionale che vive a Mestre e che poi smerciava le pastiglie di colore rosso, chiaro o scuro, con incise le lettere “R” o “WY”. Il prezzo va dai 4 ai 10 euro per pasticca.

Tra i principali fruitori ci sono proprio i bengalesi che a Venezia costituiscono la seconda comunità più popolosa dopo quella che abita a Roma. I carabinieri hanno interrogato decine di persone che hanno ammesso di aver acquistato le pastiglie. Tra di loro ci sono numerosi operai impiegati alla Fincantieri. Ed ecco quello che è più di un sospetto. Gli operai che guadagnano una media di 5-6 euro all’ora per costruire le grandi navi e arredarle sono sottoposti a ritmi massacranti, come ha dimostrato l’inchiesta della Finanza. Per rispettare i tempi di consegna sono costretti a lavorare ben oltre l’orario di lavoro, senza percepire straordinari. Anzi, in base al sistema della “paga globale”, vedono diminuire il guadagno medio.

Due dei pusher individuati dai carabinieri lavoravano per la Pz Company Srl di via Cappuccina, a Mestre, una società che ha subappalti in Fincantieri. Ma ci sono altri precedenti. Un anno fa, nel dicembre 2018, fu bloccato un lavoratore della cantieristica: nello zaino aveva 800 pasticche di Yaba acquistate dal grossista romano. In precedenza un corriere bengalese era stato fermato all’aeroporto veneziano “Marco Polo”.

Il pubblico ministero veneziano Giorgio Gava, nel decreto di sequestro dell’operazione “Paga globale” ha scritto: “È emerso che i lavoratori di plurime società che hanno svolto negli anni le operazioni di molatura e carpenteria nella stabilimento di Marghera della Fincantieri, hanno retribuito i loro lavoratori in termini totalmente difformi rispetto alle buste paga, senza alcun riconoscimento di ferie retribuite, lavoro straordinario, lavoro festivo e assenze per malattia”.

di Giuseppe Pietrobelli da Il Fatto Quotidiano