
In molti istituti si stanno archiviando le prove orali della maturità, le commissioni sembrano quasi avere fretta di chiudere i conti con una maturità, quella del 2025, che si è contraddistinta con la ribellione verso gli esami orali. Deve ancora terminare il conto definitivo dei ragazzi che hanno disertato l’orale, ad oggi solo in Veneto sono quattro: due a Padova, uno a Treviso e uno a Belluno, a questi se ne aggiungono altri nel resto d’Italia.
Sono i ragazzi che hanno rifiutato l’orale, quelli che hanno rinunciato ad un voto più alto, per protesta contro il sistema dei voti, della competizione, della perfezione a tutti i costi. E’ sicuramente una decisione libera, motivata, forse soprattutto simbolica. Psicologicamente parlando, rientra in quella che potremmo definire una ribellione adolescenziale, ma in senso ampio.
Giusta? Sbagliata? Non è nemmeno questo, forse, il punto.
Il nodo vero è un altro: è efficace? Serve davvero a cambiare il sistema dei voti? Avrà un seguito istituzionale? O sarà solo un gesto isolato, che si dissolverà appena finita l’estate, tra un lavoro stagionale e un viaggio con gli amici?
La sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti sottolinea che rifiutarsi di sostenere l’orale quando si è sicuri di essere comunque promossi “è un modo molto comodo di ribellarsi”, mentre il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, annuncia una norma anti-boicottaggio per contrastare il fenomeno, ma il realtà questo “No” cosa significa?
E’ un “No” che porta in sé un malessere profondo, un disagio inascoltato da parte della scuola e delle istituzioni in generale, un malessere condiviso, che unisce, in un’unica spirale di frustrazione, non solo gli studenti, ma anche i docenti. Docenti che devono, ogni anno, fare i conti con nuove regole, nuovi crediti per poter lavorare e al tempo stesso di un sistema che li valuta “in parte” e non li supporta dal punto di vista psico-emotivo.
Come possono insegnanti demotivati e privati di dignità professionale “vedere” i loro studenti, accendere in loro la passione e costruire un dialogo educativo? Come possono rispondere in modo efficace ai bisogni delle nuove generazioni?
L’instabilità degli uni riflette quella degli altri. Entrambi sono vittime di un sistema che ha smarrito la sua funzione essenziale: essere un luogo di crescita e di sviluppo del pensiero critico.
Nei paesi Scandinavi molte scuole hanno un sistema di qualità, che prevede colloqui annuali di sviluppo tra docenti e capi di istituto, per valutare il raggiungimento degli obiettivi fissati nel precedente anno e gli obiettivi dello staff educativo o i bisogni individuati per l’anno successivo, in Italia questo non accade, anzi la scuola conserva ancora la sua impronta fondamentalmente gerarchica, invece di essere il più possibile collegiale. Spesso la personalità, lo stile, le scelte del dirigente scolastico influiscano sulla qualità e sul benessere lavorativo di tutti gli operatori della scuola. E quando quel dirigente “non funziona” tutto il malessere dove ricade?
Il sistema va cambiato da dentro e allora la domanda da porsi diventa: cosa posso fare io per cambiare il sistema? Che contributo posso dare io?
Questi ragazzi hanno visto come unica possibilità la protesta, giusta o sbagliata che sia, va tutto il mio il rispetto.
In tre giorni si giocano cinque anni di studio, perché quei tre giorni pesano il 60% sul voto finale e non solo… diversamente a quanto si crede, il voto di maturità non influisce sulle procedure di ammissione all’università, a differenza di qualche anno fa non ha alcun valore, e allora mi chiedo: Dove stiamo andando? Che valori la scuola sta trasmettendo ai nostri figli?
Invece di parlare, come accaduto in queste settimane di “bravata” o di “punizione esemplare”, proviamo come adulti e istituzioni ad ascoltare, a creare un vero dialogo, per capire da dove nasce la protesta e rispondere alle sfide educative di oggi e di domani!