MES, Eurobond e Recovery bond: facciamo il punto… anche se non fisso

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MES, Eurobond e Recovery bond- Sassoli e Von der Leyen al Parlamento Europeo (La Presse)
MES, Eurobond e Recovery bond- Sassoli e Von der Leyen al Parlamento Europeo (La Presse)

Cos’è il MES?

Nel 2010 la crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti due anni prima e diffusasi a livello internazionale aveva scatenato un aumento incontrollato dei debiti sovrani di alcuni Paesi europei. Per frenare la speculazione sui mercati e preservare la stabilità finanziaria dell’intera eurozona, il 9 maggio 2010 i leader europei costituirono il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria (EFSF), che dal punto di vista giuridico è una società di diritto lussemburghese.

Lo scopo del fondo era emettere obbligazioni o altri strumenti di debito sui mercati finanziari potendo vantare la garanzia degli Stati membri, concessa in proporzione alla quota di partecipazione al capitale della BCE.

L’EFSF era uno strumento temporaneo e dotato di risorse limitate. Venne così sostituito dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), un’organizzazione europea a carattere permanente anch'essa con sede in Lussemburgo.

Dal luglio 2012 o meglio e definitivamente, come vedremo (fonte Wikipedia), dall'8 ottobre 2012 è stato sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (MES), con la condizione che l'assistenza finanziaria ai Paesi insolventi coinvolga la partecipazione del settore privato (il cosiddetto salvataggio interno) in genere tramite un taglio del credito fino al 50%.

Ricostruendo i passi che ci riguardano più da vicino:

  • lo approva il Consiglio dei Ministri del 3/8/2011 del Governo Berlusconi IV, di cui faceva parte la Lega
  • il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità viene sottoscritto a livello di ambasciatori dai 17 Paesi dell’eurozona il 2 febbraio 2012, "in una nuova versione che supera quella sottoscritta l'11 luglio 2011 ma mai ratificata ampliandone sia l’ammontare massimo di risorse disponibili sia la tipologia delle operazioni consentite"
  • la ratifica parlamentare finale da parte dell'Italia avviene alla Camera dei Deputati (governo Monti) il 19/7/2012.

Tutti i nuovi salvataggi degli Stati membri dell'Eurozona sarebbero così stati coperti, nel disegno dei firmatari, dal MES mentre lo strumento europeo di stabilità finanziaria (FESF) e il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (EFSM) avrebbero continuato a gestire i trasferimenti di denaro e il monitoraggio dei programmi per i salvataggi precedentemente approvati per Irlanda, Portogallo e Grecia.

Successivamente, però, l'attuazione del fondo fu temporaneamente sospesa in attesa della pronuncia da parte della corte costituzionale della Germania sulla legittimità del fondo con l'ordinamento tedesco che sciolse il nodo giuridico il 12 settembre 2012, quando si è pronunciata, purché venissero applicate alcune limitazioni, in favore della sua compatibilità con il sistema costituzionale tedesco dopo di che il Bundestag autorizzò la ratifica il 27 settembre 2012, portando il trattato in vigore a tale data per i sedici Stati che avevano ratificato l'accordo.

Il MES ha perciò iniziato le sue operazioni in una riunione dell'8 ottobre 2012.

Alcune polemiche scaturite in questi giorni riguardano proprio il fatto che il Governo italiano che firmò la prima versione non fu lo stesso che aderì alla seconda e qualche politico sostiene che il contenuto del secondo trattato presentava delle differenze importanti rispetto al precedente.

Il MES che diventa, comunque, operativo nell’ottobre del 2012, opera emettendo prestiti in favore di Paesi in stato di conclamata difficoltà finanziaria che ne richiedano l'intervento e acquistando loro titoli sul mercato per alleviare la pressione delle speculazioni. A fronte di queste misure, però, richiede l’impegno a rispettare condizioni piuttosto stringenti, che “possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite”. In sostanza politiche di austerità, ad esempio tagli alla spesa pubblica. Se le condizioni imposte non vengono rispettate c’è il rischio di essere esposti alla ristrutturazione del debito, ossia una rinegoziazione delle condizioni originarie dei prestiti.

I Paesi che finora hanno fatto ricorso al MES sono Spagna, Portogallo, Irlanda, Cipro e Grecia (a cui, però, è più corretto dire che furono prima l’EFSF e solo dopo il MES, nella sua forma iniziale, a erogare 204 miliardi di euro arrivando oggi a detenere più della metà del suo debito pubblico).

Cos’ha deciso l’Eurogruppo riguardo MES ed Eurobond?

Alla vigilia dell’ultima riunione dell’Eurogruppo, i Ministri delle Finanze dei Paesi dell’eurozona si sono scontrati riguardo la possibilità di creare un nuovo strumento di finanziamento per aiutare gli Stati più in difficoltà nella lotta al Covid-19. Si tratta degli Eurobond, che sono un ipotetico titolo di debito emesso in comune da tutti i Paesi dell’area euro.

Italia e Spagna hanno vigorosamente promosso questa soluzione, perché consentirebbe di creare nuovo debito che non andrebbe a gravare sull’eccessivo debito pubblico già sulle loro spalle. Ricordiamo che il rapporto debito pubblico su PIL nel 2019 aveva raggiunto il 135% circa per l’Italia e il 95% per la Spagna.

Sul fronte opposto si sono schierati i Paesi del Nord, con la Germania a... sostenerli, tra cui l’Olanda (che vanta un rapporto debito/PIL del 50%) che si opponevano categoricamente a questa soluzione, invitando ad usufruire del MES. Questa soluzione però è osteggiata dai Paesi del Sud, Francia inclusa, i quali ritengono che in un momento di emergenza mondiale proporre l’austerità sia illogico e senza dubbio dannoso.

L’intesa raggiunta il 9 aprile prevederebbe, incluse le misure già approvate (SURE e intervento Bei), un pacchetto di aiuti complessivo di circa mille miliardi di euro tra cui:

  • La Pandemic Crisis Support, ossia una linea di credito limitata al 2% del PIL messa a disposizione dal MES per finanziare esclusivamente spese sanitarie, dirette o indirette e non prevedendo in questa formulazione  alcuna condizionalità. In questo modo verranno messi a disposizione circa 240 miliardi di euro, di cui 36 miliardi all’Italia.
  • La possibilità di istituire un fondo di solidarietà, temporaneo, per finanziare la ripresa. Nel comunicato si legge che le risorse (si parla di circa 500 miliardi) dovrebbero derivare dal bilancio europeo utilizzato come "garanzia" e dall’utilizzo di “strumenti innovativi”.

Innanzitutto, va chiarito che si tratta di un accordo informale. Certo, dopo tutti gli sforzi fatti per arrivare a questo compromesso si vorrebbe confidare sulla solidità dell’intesa. Ma si ricorda che questo accordo dovrà essere precisato al prossimo Consiglio Europeo in programma il 23 aprile sia pure in maniera informale.

Proprio sulle aree grigie dell’accordo (o delle semplici aperture) nascono le discussioni in corso. Chi premeva per l’introduzione degli Eurobond sottolinea che gli “strumenti innovativi” nominati nel testo farebbero riferimento proprio ai titoli di debito comune. Mentre gli oppositori fanno notare che questi bond non vengono mai nominati esplicitamente e quindi sono da considerarsi bocciati. È proprio il Ministro delle Finanze olandese Wopke Hoekstra a confermare che “il testo è deliberatamente vago. Ciascuno può leggervi quello che vuole”.

Altro tema di discussione riguarda la presenza o meno di condizionalità per accedere alle linee di credito del MES. Dal comunicato sembra di poter evincere che i prestiti senza condizionalità potranno finanziare solo le “spese sanitarie dirette e indirette”, mentre per altri tipi di spesa rimangono in vigore le richieste di austerità. Tuttavia non sembra esserci completo accordo sul significato di “spese sanitarie indirette”, poiché il Ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire sembra proporre un’interpretazione più ampia rispetto ad altri colleghi.

Gli oppositori del MES fanno poi presente che il trattato che lo ha istituito vincola esplicitamente la concessione del credito alla sottoscrizione del cosiddetto memorandum of understanding, un documento con cui ci si impegna a rispettare le direttive imposte per il risanamento dei bilanci.

Bisogna infine considerare che l’eventuale prestito del MES, anche senza condizioni, a differenza degli Eurobond andrebbe ad incidere sul debito pubblico dei singoli Stati e che, anche ignorando il fatto che il debito pubblico sembra destinato ad aumentare vistosamente, le ultime stime sul PIL del 2020 mostrano un crollo preoccupante. In particolare, uno studio sostiene che l’Italia potrebbe registrare un calo del 9,1% del PIL, che avrebbe l’effetto di portare il rapporto tra debito sovrano e PIL al 155%.

Il timore di alcuni esponenti politici, al netto delle polemiche, è che, una volta finita l’emergenza, le istituzioni europee potrebbero non transigere di fronte a un Paese ancor più indebitato e, quindi, imporre ugualmente il rispetto di misure di austerità.

D’altra parte i favorevoli al ricorso al MES fanno presente la necessità di ricevere tempestivamente risorse per procedere con le manovre di sostegno promesse alla popolazione.

Per quanto riguarda gli Eurobond, invece, anche alcuni sostenitori stanno cominciando a scartare questa proposta, in quanto i Paesi del Nord chiaramente non sembrano disposti a pagare i costi di uno strumento di cui sono convinti non aver bisogno. Per questo il Ministro francese Le Maire ha proposto una soluzione simile ma con effetti diversi: i Recovery bond.

Cosa sono i Recovery bond?

Il 17 aprile il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione, non vincolante, in cui si suggerisce di far fronte all’emergenza attraverso obbligazioni per finanziare la ripresa economica garantite dal bilancio europeo. I cosiddetti Recovery bond.

La differenza tra Eurobond e Recovery bond è che, mentre i primi riceverebbero la garanzia diretta degli Stati, i secondi sarebbero garantiti dal bilancio europeo (finanziato comunque proporzionalmente dagli Stati membri).

Il tema quindi riguarda le diverse modalità di ripartizione dei “costi”: fonti francesi spiegano che le garanzie al fondo dei Recovery bond verrebbero concesse da ciascuno Stato in proporzione al PIL, mentre le risorse ricavate tramite questi strumenti sarebbero assegnate in funzione dell’impatto della crisi. Perciò un Paese di ridotte dimensioni economiche, colpito duramente dal Covid-19, potrebbe usufruire di più soldi di quanti non ne garantisca.

A causa di questa asimmetria in un dramma simmetrico si teme che l’Italia possa eventualmente sopportare costi maggiori rispetto a Paesi economicamente più piccoli. Ricordiamo però che la proposta è stata avanzata proprio dai francesi, sebbene anche per loro valga lo stesso discorso dell’Italia.

A questo punto si rimanda tutto al prossimo Consiglio Europeo del 23 aprile. Le varie proposte sono state ampiamente discusse e, nonostante le diverse opinioni dei vertici europei, sembra ci siano le basi per un accordo. La speranza è che si possa trovare una soluzione non solo efficace ma anche tempestiva, perché chi ha davvero bisogno della liquidità promessa non può aspettare ancora a lungo.

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