
Dopo Tod’s e Loro Piana, altre tredici aziende finiscono nelle indagini sulla filiera moda. Per Filippo Zago (CNA Federmoda) il rischio è un danno d’immagine per tutto il Made in Italy virtuoso. Servono trasparenza, tempi equi e regole che mettano le imprese nelle condizioni di lavorare bene.
Il nuovo fronte di indagini che coinvolge tredici aziende collegate a marchi del lusso, dopo i casi Tod’s e Loro Piana, riaccende i riflettori sulle criticità strutturali della filiera moda italiana. Non più episodi isolati, ma segnali di un sistema complesso che necessita di un ripensamento profondo per proteggere il Made in Italy, la sua credibilità e la sua continuità nel tempo. A lanciare l’allarme è CNA Federmoda, che teme che la narrazione scandalistica finisca per travolgere anche le imprese virtuose che rappresentano l’autentico motore del settore.
«L’illegalità va contrastata senza esitazioni – afferma Filippo Zago, presidente CNA Federmoda – ma sbattere il mostro in prima pagina senza affrontare le cause profonde rischia di produrre un effetto boomerang. Si genera un’eco negativa che finisce per coinvolgere tutto il Made in Italy, anche quello che ogni giorno opera nel rispetto delle regole». Una distorsione che colpisce soprattutto le piccole aziende artigiane, spesso prime anelli della catena produttiva, chiamate a rispondere di dinamiche su cui non esercitano alcun controllo.
Per l’associazione, uno dei nodi centrali riguarda la distanza crescente tra le richieste dei grandi brand e le condizioni reali di lavoro dei fornitori. Scadenze sempre più ravvicinate, prezzi compressi e una proliferazione di audit invasivi e costosi generano un paradosso: si pretendono standard elevati, ma si mettono le imprese nella condizione di doverli raggiungere con risorse, mezzi e tempi insufficienti. «Audit e certificazioni hanno valore – sottolinea Zago – ma diventano inefficaci se non accompagnati da un riconoscimento concreto dello sforzo richiesto alle imprese. Senza compensi equi e tempi sostenibili, gli audit rischiano di trasformarsi in una vetrina che non rappresenta la realtà. Così non si tutela il Made in Italy: lo si indebolisce».
CNA Federmoda chiede un cambio di prospettiva che parta dai vertici della filiera, con maggiore trasparenza e certificazioni capaci di fotografare davvero le condizioni operative dei produttori, italiani e internazionali. L’obiettivo è costruire un sistema che permetta alle aziende di mantenere margini sostenibili, assumere e formare personale e garantire condizioni di lavoro corrette, senza perdere competitività sui mercati globali.
«Le regole devono diventare uno strumento di crescita per tutti – conclude Zago – e non un carico sproporzionato sulle imprese più piccole. Occorre mettere nelle condizioni di lavorare bene chi vuole lavorare bene». Una sfida che riguarda l’intero settore: solo una filiera realmente coesa e sostenibile può proteggere il valore del Made in Italy e il futuro delle sue eccellenze.



































