
È morto schiacciato da un macchinario, all’alba del 5 maggio, un operaio di 58 anni con oltre trent’anni di servizio come capo turno alla Aristoncavi di Brendola. Un’altra tragedia sul lavoro che scuote Vicenza e l’intero Veneto, riportando con violenza in primo piano il tema della sicurezza nei luoghi produttivi. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo stava effettuando un intervento su una linea di estrusione quando è rimasto incastrato e poi travolto. Vani i soccorsi: l’intervento dei colleghi, dei vigili del fuoco, del SUEM e dello Spisal non ha potuto salvarlo. L’azienda ha sospeso le attività nel reparto interessato.
Le reazioni non si sono fatte attendere. Durissima la nota dell’USB Vicenza, che ha parlato apertamente di “omicidi sul lavoro” e accusato “padroni e governi” di essere complici della strage silenziosa che ogni giorno miete vittime tra i lavoratori: «Non ci bastano più le lacrime di coccodrillo. È ora di alzare la testa. Non siamo carne da macello. Andiamo a lavorare per vivere, non per morire». L’USB ha ricordato la proposta di legge già depositata per equiparare gli infortuni mortali all’omicidio e ha chiesto il rafforzamento immediato dei controlli e l’autonomia degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza).
Più istituzionale ma altrettanto ferma la presa di posizione dell’UGL Chimici, che con i segretari Alberto Pietropoli e Andrea Tonin ha espresso «profonda commozione e cordoglio» per l’operaio dell’Aristoncavi morto, ribadendo che «la sicurezza non può essere una mera formalità, ma un dovere etico e collettivo». Il sindacato chiede un deciso cambio di passo nelle politiche aziendali e pubbliche: più formazione, rigore nei controlli e investimenti sulla tutela della vita. «Non si può morire nel 2025 in un’industria strutturata», hanno dichiarato.
La magistratura farà luce sull’accaduto, ma intanto resta la rabbia e il dolore per una vita spezzata troppo presto. Una delle tante, troppe, nel silenzio di chi dovrebbe vigilare.