Dalle notizie pubblicate nel sito dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro curato da Carlo Soricelli, ci si può rendere conto di come la sicurezza nei luoghi di lavoro sia insufficiente. Nulla è cambiato rispetto alla situazione antecedente alla pandemia. E non ci si riferisce ai decessi dovuti a covid-19, ma a quelli “normali” causati da infortunio.
Venerdì, 22 maggio, sono 4 i lavoratori morti per infortunio mentre lavoravano. Il 21 maggio sono stati 2. Tre i morti il 20 maggio … Sono oltre 40 dal 4 maggio quando è stata alleggerita la quarantena. Un crescendo spaventoso che fa raggiungere il numero impressionante di 200 vittime per infortunio nel luogo di lavoro da inizio anno. E, considerando i morti in itinere, il totale dei decessi è di 420.
Per quanto riguarda l’incidenza del coronavirus, l’Osservatorio di Bologna stima in 354 le vittime. A questo riguardo, INAIL conta in 43.399 le denunce di contagio avvenuto durante il lavoro tra il 28 febbraio e il 15 maggio. Sono circa 6.000 in più rispetto alla rilevazione del 4 maggio. Le denunce di esito mortale ricevute da INAIL sono 171.
I numeri sono impietosi. Dimostrano una carenza di sicurezza indifferente al fatto che ci sia o meno l’emergenza pandemia o che siano più o meno chiuse le attività produttive. La pandemia aggrava la situazione sommando in maniera drammatica i decessi per Covid-19 a quelli per infortunio. Sembra che, comunque e in qualsiasi condizione, nulla possa cambiare. È evidente che si lavora in maniera precaria, comunque, sempre.
Lavorare in sicurezza non è solo un diritto, deve essere un dovere. Significa dare massima priorità alla “questione sicurezza”. Significa prevenire le tragedie e controllare le situazioni di pericolo. Vuol dire rendere il lavoro più sicuro e meno alienante, cancellare la precarietà (che significa sfruttamento), garantire a chi lavora una retribuzione che permetta una vita decorosa e non obblighi a orari e condizioni di lavoro indecenti e insostenibili.
In definitiva significa mettere al primo posto la vita delle persone e non il profitto di qualcuno. Trasformare, cioè, il sistema tenendo presente che sono le lavoratrici e i lavoratori i veri protagonisti dello sviluppo, quelli che producono ricchezza per tutti e non per pochi.