
Dopo il deposito delle motivazioni della Sentenza Miteni, che ha ricostruito in oltre 2.000 pagine il disastro ambientale causato dai Pfas in Veneto, si delineano con chiarezza le posizioni delle parti civili e dei rappresentanti dei lavoratori.
Il fulcro del ragionamento della Corte d’Assise di Vicenza è racchiuso in tre parole: “l’azienda sapeva”. Una consapevolezza che ha portato alla condanna in primo grado di 11 manager e alla disposizione di risarcimenti milionari.
Merlin: “Un punto di non ritorno per la tutela dell’acqua”

Per le società idriche venete, le motivazioni della sentenza rappresentano una vittoria storica. L’avvocato Angelo Merlin, che insieme al collega Marco Tonellotto ha assistito gestori come Acquevenete, Acque del Chiampo (500 mila euro di provvisionale ciascuna) e Viacqua (400 mila euro), definisce la decisione “un punto di non ritorno“.
“La Corte afferma con chiarezza che, anche in assenza all’epoca di limiti normativi specifici, la pericolosità intrinseca e l’estrema persistenza di queste sostanze imponevano misure di prevenzione”, sottolinea Merlin. Il legale evidenzia come i giudici abbiano riconosciuto la responsabilità dei vertici Miteni per avvelenamento delle acque, disastro ambientale e inquinamento, valorizzando l’omessa attivazione delle bonifiche e l’occultamento dei dati nonostante la piena consapevolezza della contaminazione.
“L’ambiente e l’acqua potabile non sono variabili economiche sacrificabili”, conclude Merlin, rimarcando come la sentenza sanzioni anche la bancarotta fraudolenta, fondata proprio sull’occultamento delle passività ambientali.
Cgil: “Danno e beffa per i lavoratori, ora riaprire le indagini”

Se sul fronte ambientale e societario la sentenza segna un traguardo, per gli ex lavoratori della fabbrica di Trissino la battaglia resta aperta. Giampaolo Zanni, segretario della Cgil Veneto, ricorda come in questo processo gli operai non abbiano ricevuto risarcimenti perché i capi d’accusa non riguardavano reati relativi a malattie o decessi sul lavoro.
A Il Corriere del Veneto ha detto: “La battaglia non è conclusa, noi torneremo a combattere per i nostri lavoratori. I vecchi dipendenti della Miteni, oltre al danno nell’aver perso il lavoro dopo il fallimento del 2018, si trovano ad affrontare anche la beffa di un bioaccumulo di sostanze perfluoroalchiliche nel sangue che può portare a gravi malattie senza però veder riconosciuto alcun indennizzo“.
La svolta dello Iarc e il caso Zenere
Come aveva riferito Zanni alla redazione all’indomani della sentenza Mitenti, la Cgil punta ad utilizzare gli elementi emersi in questo primo grado per chiedere la riapertura delle indagini sui danni alla salute dei lavoratori e non solo. Un punto di forza è la classificazione dello Iarc, che ha riconosciuto il Pfoa (la sostanza maggiormente riscontrata tra gli operai) come cancerogeno per l’uomo.
Zanni già allora aveva ricordato l’impegno costante del sindacato: “Abbiamo denunciato all’Inail la posizione di 43 ex operai. L’Istituto ne ha accolte 19, ma senza indennizzi immediati”.
Un precedente fondamentale è però arrivato dalla giustizia civile lo scorso 13 maggio: la sentenza ha riconosciuto il nesso causale tra il tumore al rene e il decesso dell’operaio Pasqualino Zenere, obbligando l’Inail a pagare la rendita alla vedova.





































