
In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza maschile sulle donne, i Comuni di Malo, Schio e Thiene ospitano un’importante iniziativa culturale e sociale.
Si tratta della mostra diffusa dal titolo “Non chiamatelo raptus” che espone 35 vignette di Stefania Spanò, in arte Anarkikka, autrice, attivista femminista e vignettista.
L’iniziativa, organizzata con la collaborazione del progetto Seta e dello Sportello Donna del Comune di Malo, offre un percorso che aiuta a ri-conoscere e superare le disparità e la violenza. L’avvio della mostra sarà sabato 15 novembre 2025 alle 16 e 30 presso Villa Fabris a Thiene.
I luoghi della mostra e la presentazione del libro
La mostra, pensata per essere diffusa e raggiungere un ampio pubblico sul territorio Vicentino, sarà visitabile in diversi luoghi nei tre Comuni:
- Biblioteca di Malo e Cinema Aurora di Malo
- Biblioteca di Schio e Cinema Pasubio di Schio
- Farmacie del centro storico di Schio e Farmacie di Malo
- Villa Fabris di Thiene
Tutte le iniziative sono gratuite. A completamento del progetto, venerdì 28 novembre alle 20.30 presso l’Auditorium Rigotti di Malo, l’artista Anarkikka presenterà il suo ultimo libro confrontandosi con la moderatrice dell’incontro Nicole Zavagnin.
Per ulteriori informazioni è possibile contattare le colleghe del progetto Seta e dello Sportello Donna del Comune di Malo all’indirizzo progettoseta@samarcandaonlus.it o al numero 3703660891.
Anarkikka: il linguaggio complice che minimizza il crimine
Stefania Spanò, in arte Anarkikka, è nota per i suoi progetti illustrati che raccontano di diritti negati e sofferenze umane. Fotografa con ironia il disagio, ponendo l’accento in particolare sulle problematiche femminili.
Il progetto “Non chiamatelo raptus” approfondisce il tema della violenza e, in particolare, del linguaggio che usiamo nel raccontarla. La tesi centrale è che il linguaggio si fa complice, perché veicola e rafforza una narrazione sbagliata della sopraffazione, che abbiamo tutt* interiorizzato.
Per cui espressioni come “gelosia è attenzione”, “possesso è amore” o “delitto è raptus” vengono intese come risposte “passionali” alla disperazione o al tormento. È un linguaggio assolutorio, che nell’assolvere il criminale minimizza il crimine.
Inoltre, nel relegare l’atto alla follia individuale, si deresponsabilizza una comunità che non fa i conti con la propria identità e valori. Questo linguaggio assolve l’uomo e getta ombre sulla donna, sulla vittima, che diventa l’istigatrice del gesto folle, la responsabile, quella che “se l’è (sempre) cercata”.







































