
(Articolo sul dolore del lutto da VicenzaPiù Viva n. 302, sul web per gli abbonati.
Nel dolore del distacco impariamo a dire grazie: il dono di chi ci ha lasciato resta nel cuore e ci riporta il sorriso.
«Credo… la risurrezione della carne, la vita eterna», queste parole concludono la più antica professione di fede, il Credo Apostolico o battesimale, queste parole ci ricordano come la risurrezione e la vita eterna siano un unicum che caratterizza il cristianesimo. Tuttavia, quando ci viene a mancare una persona a noi cara, soprattutto se questi è un familiare, sembra che ci dimentichiamo di questa realtà di fede e iniziamo a porci tanti perché, ai quali cerchiamo di dare delle risposte, ma in verità ogni risposta non serve a niente se non a far emergere maggiormente il vuoto che stiamo vivendo.
Tutto questo ha un’unica risposta: difficoltà ad accettare la morte, ritenendola in un certo qual modo la fine di tutto, perché con la persona cara che ci ha lasciati sembra essersi spezzato un legame.
Occorre in certo qual modo imparare ad elaborare il nostro lutto, solo così sapremo superare questo difficile momento, e in questo cammino ci è d’aiuto la fede. Questa, infatti, ci ricorda che noi, come afferma Pietro nella sua Prima Lettera (cf. 1Pt 1.7 e 2.11), siamo un popolo in pellegrinaggio su questa terra e, questo è un dono sempre nuovo dell’amore di Dio per noi, «e un pegno della vita immortale, poiché possediamo fin da ora le primizie del tuo Spirito, nel quale hai risuscitato Gesù Cristo dalla morte, e viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza nella Pasqua eterna del tuo regno» (Prefazio VI Domenica del Tempo Ordinario).
La fede, dunque, ci ricorda che questa esperienza di dolore che viviamo in realtà è un passaggio, perché in virtù della morte in croce di Cristo, la morte è stata sconfitta, non è l’ultima parola: «Ecco, io vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba.
Essa, infatti, suonerà e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È necessario, infatti, che questo corpo corruttibile si vesta d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta d’immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù
Cristo! Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1Cor 15,51-58). Paolo ci ricorda che l’evento morte è una sorta di completamento dell’uomo pensato ad «immagine e somiglianza di Dio» (cf. Gen 1,26), un uomo che ha lasciato la sua “crisalide” per vivere in pienezza la sua nuova vita in Dio.
L’esperienza del “distacco” partendo da questa prospettiva di fede ci fa comprendere una cosa importante, oserei dire fondamentale, la vita “non ci è dovuta” ma è un dono e come tale va o andrebbe vissuta in ogni momento. Avere questa consapevolezza aiuterebbe e non poco ad instaurare un mondo nuovo, un mondo nel quale l’uomo non è stato posto affinché lo dominasse, ma lo facesse crescere per poterlo portare anch’esso verso il compimento. Certo tutto questo può sembrare utopia, ma può essere un aiuto a comprendere come la persona cara che ci ha lasciato sia stato per noi un dono, e allora come credenti, nonostante il dolore del distacco, non chiederemo più a Dio perché, ma lo ringrazieremo per il dono che ci ha fatto, un dono che resterà per sempre nei nostri cuori, e probabilmente tornerà il sorriso.
«Se mi ami non piangere! / Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo / dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento / in questi orizzonti senza fine / e in questa luce che tutto investe e penetra, / tu non piangeresti se mi ami.
Qui si é ormai assorbiti / dall’incanto di Dio e dai riflessi / della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo, / quanto piccole e fuggevoli, al confronto!
Mi é rimasto / un profondo affetto per te; / una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Ora l’amore che mi stringe / profondamente a te, / é gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo / nella serena ed esaltante attesa, / tu pensami così!
Nelle tue battaglie, / nei tuoi momenti / di sconforto e di stanchezza, /pensa a questa meravigliosa casa, / dove non esiste la morte, / dove ci disseteremo insieme / nel trasporto più intenso, / alla fonte inesauribile / dell’amore e della felicità.
Non piangere più / se veramente mi ami!» (Giacomo Perico).








































