
«Ho un dipendente sotto contratto, oggi alla pausa colazione aizzava gli altri di andare a votare perché sarebbe l’unico modo per tutelare chi lavora. Il contratto gli scade il 30 giugno. Dopo ci pensa Landini». Basta questa frase contro i referendum sul lavoro dell’8 e 9 giugno — pubblicata su X già Twitter — per sintetizzare un clima che in molte fabbriche e cantieri italiani si respira da troppo tempo: intimidazione, ritorsioni, ricatto.
La firma è di Marcello Crescentini, imprenditore di Fabriano attivo nel settore della segnaletica stradale e già incappato in vicende giudiziarie poi risoltesi a suo favore. E il riferimento, nemmeno troppo velato, è ai quattro referendum sul lavoro promossi dalla Cgil, che si voteranno domenica e lunedì 8 e 9 giugno.
Il caso è stato sollevato con forza da Repubblica in un articolo a firma di Matteo Pucciarelli, e ha rapidamente scatenato un’ondata di sdegno sui social. La frase di Crescentini, con tutta evidenza discriminatoria e ritorsiva, ha fatto il giro del web, attirando centinaia di commenti critici e durissime prese di posizione da parte di sindacati e partiti.
Tra i primi a intervenire, Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione Comunista:
«Solidarietà all’operaio che involontariamente ha mostrato con il suo coraggio il clima che regna in molti luoghi di lavoro. Andiamo domani a votare in massa sì al referendum per difendere i diritti di chi lavora dalla prepotenza padronale. Chi invita all’astensione è schierato dalla parte di padroni come questo Crescentini».
Il gesto dell’imprenditore, al di là della sua rozzezza comunicativa, mette a nudo un dato strutturale: in molti contesti lavorativi, l’espressione di opinioni o posizioni sindacali è ancora oggi percepita come un rischio, se non addirittura una colpa. Il dipendente “reo” di aver invitato i colleghi a votare “sì” al referendum, invece di essere ascoltato o rispettato, si vede minacciato di non vedersi rinnovato il contratto.

Il boomerang è servito. E se Crescentini pensava di intimidire, potrebbe, invece, aver ottenuto l’effetto opposto: ha rafforzato la consapevolezza dell’urgenza del voto referendario. Quei quattro “sì” richiesti dalla Cgil — su licenziamenti illegittimi, appalti, precarietà e reintegro nel posto di lavoro — si caricano oggi di un valore simbolico ancora più forte: diventano un segnale di resistenza civile e di dignità operaia.
E domani, al seggio, si voterà anche per dire no a chi pensa di poter comprare il silenzio dei lavoratori con un contratto a termine.