Tutti i numeri dei referendum, l’analisi del voto e della partecipazione: indicazioni interessanti sull’Italia (e su Vicenza “cosmopolita”)

I cinque quesiti su cui si è votato domenica 8 e lunedì 9 giugno non hanno raggiunto il quorum. Sul piano delle leggi, quindi, tutto resta com’è

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Quanti sono gli elettori di ciascun partito che hanno votato al referendum? (fonte: sondaggio SWG)
Quanti sono gli elettori di ciascun partito che hanno votato al referendum? (fonte: sondaggio SWG)

Domenica 8 e lunedì 9 giugno oltre 51 milioni di italiani (poco più di 45 milioni di residenti in Italia più circa 5 milioni di residenti all’estero) sono stati chiamati alle urne per votare su cinque quesiti referendari: quattro in tema di leggi sul lavoro, promossi dalla CGIL, e uno sui requisiti per l’acquisizione della cittadinanza italiana per gli stranieri regolarmente residenti nel nostro Paese promosso da +Europa, Possibile, Partito Socialista Italiano, Radicali Italiani, Rifondazione Comunista e numerose associazioni della società civile. Trattandosi di referendum abrogativi, dovevano recarsi ai seggi almeno il 50% più uno degli aventi diritto affinché la consultazione fosse valida: tuttavia, a votare sono stati “solo” 14,8 milioni di elettori, ossia poco meno del 30% degli aventi diritto (l’affluenza in realtà ha superato di poco la soglia del 30% in Italia, ma ha risentito di quella molto minore all’estero, dove si è fermata sotto il 24%).

Se l’obiettivo era raggiungere il quorum, dunque, si è trattato di un fallimento. Un fallimento di certo non imprevedibile, visto che negli ultimi 30 solo una volta erano andati a votare più di metà degli italiani per un referendum abrogativo: ma era il 2011, c’era stato da poco l’incidente alla centrale nucleare giapponese di Fukushima e uno dei quesiti riguardava, guarda un po’, proprio lo stop alla produzione di energia nucleare in Italia. Stavolta, come allora, quasi tutti i partiti di opposizione si sono schierati a favore del Sì per dare un “segnale politico” al governo in carica: ma, come era facilmente prevedibile (visto che in Italia oggi non c’è un clima insofferente – per non dire ostile – al Governo Meloni paragonabile a quello che c’era nel 2011 nei confronti del berlusconismo al suo ultimo stadio, bersagliato da scandali e da una crisi economica), anche questa “leva” non è bastata a mobilitare gli elettori in numero sufficiente.

Mappa dell’affluenza per provincia (fonte: elaborazione Youtrend su dati Ministero dell’Interno)
Mappa dell’affluenza per provincia (fonte: elaborazione Youtrend su dati Ministero dell’Interno)

C’è da dire subito che la scarsa partecipazione è stata alquanto omogenea in tutta Italia. In nessuna provincia si è raggiunto il 50% di votanti. Il quorum è stato raggiunto solo in 28 comuni, nessuno di grandi dimensioni, e in 11 di questi peraltro si votava per la concomitante tornata di ballottaggi per le elezioni comunali. In generale, però, la geografia della (non) partecipazione rivela qualcosa di interessante. Ad esempio, che si è votato di più nelle regioni del Centro-Nord (in particolare Toscana ed Emilia-Romagna, poco sotto il 40%) che in quelle del Sud (con il solo Trentino-Alto Adige a far peggio di Calabria e Sicilia, con meno del 23% di affluenza). Oppure che la percentuale di votanti è stata tanto più alta quanto più popoloso era il comune: se nel complesso delle città con più di 100 mila abitanti si è registrata un’affluenza superiore al 35%, nei piccoli comuni con meno di 10 mila residenti non si è andati oltre il 27,4%. Da questo punto di vista, Vicenza ha fatto leggermente meglio della media nazionale, con il 31,1% di partecipazione (dato tra i più alti di tutti i comuni della provincia, che nel complesso si è fermata al 25,5%).

C’è un’ultima cosa da dire sulla partecipazione a questi referendum. Forse è un dettaglio, ma è interessante dal punto di vista della sociologia politica: a livello provinciale, l’affluenza è stata praticamente ovunque più alta tra le donne che tra gli uomini; l’unica eccezione è la provincia di Taranto, dove però nel capoluogo si votava anche al ballottaggio. Una novità, se si considera che di solito l’affluenza che si registra tra gli elettori maschi è superiore a quella delle elettrici donne (da ultimo alle ultime europee, dove questo era avvenuto in ben 91 province su 106).

Veniamo ora ai risultati, cioè a come hanno votato quelli che alle urne ci sono andati. Come spesso avviene – soprattutto da quando le forze politiche di volta in volta contrarie ai quesiti oggetto di referendum hanno capito che era più conveniente far leva sull’astensione per far fallire le consultazioni piuttosto che fare campagna per il No – la percentuale di Sì è risultata di gran lunga maggioritaria in tutti i quesiti. Ma qui emerge l’altro elemento interessante di questi referendum: e cioè che mentre i quesiti sul lavoro hanno fatto tutti registrare (con poche variazioni) una quota di Sì vicina al 90%, il quinto quesito sulla cittadinanza si è fermato “solo” al 65% di favorevoli. In altre parole, quasi tutti quelli che sono andati a votare principalmente per votare Sì al quesito sulla cittadinanza hanno esteso il loro voto anche ai quesiti sul lavoro; viceversa, circa un terzo degli elettori che sono andati a votare principalmente perché favorevoli ai quesiti promossi della CGIL hanno poi bocciato il quesito sulla cittadinanza.

Quanti sono gli elettori di ciascun partito che hanno votato al referendum? (fonte: sondaggio SWG)
Quanti sono gli elettori di ciascun partito che hanno votato al referendum? (fonte: sondaggio SWG)

Un fenomeno interessante, e che apre a tutta una serie di interpretazioni sul comportamento degli elettori. Posto che non tutti gli italiani che sono andati a votare al referendum sono elettori dei partiti di opposizione (come confermato da una stima di SWG e dai flussi di voto elaborati dall’istituto Cattaneo), è evidente che l’elettorato “referendario” è mediamente un po’ più ostile verso gli stranieri di quello che si potrebbe pensare con riferimento a un generico elettorato “progressista”. Ricordiamo infatti che tutte le forze politiche di opposizione, anche quelle contrarie ai quesiti sul lavoro (come Azione e Italia viva), si erano espresse a favore del quesito sulla cittadinanza, con una sola eccezione: il Movimento 5 Stelle, che proprio sul quinto quesito aveva scelto la linea della libertà di voto.

Incrociando i dati sulla partecipazione al voto con quello del rapporto tra Sì ai quesiti sul lavoro e Sì al quesito sulla cittadinanza, Youtrend ha elaborato un’interessante classificazione dei comuni italiani, suddividendoli in quattro “famiglie”: i comuni dell’Italia “scettica”, dove si è votato poco e dove i Sì sul lavoro sono stati molti di più dei Sì sulla cittadinanza, sono comuni di medie dimensioni, che votano tendenzialmente più a destra della media nazionale, e si trovano principalmente tra il Sud e il Triveneto; dell’Italia “laburista” fanno invece parte quei comuni dove i Sì sul lavoro sono stati molto prevalenti rispetto ai Sì sulla cittadinanza, ma dove l’affluenza è stata più alta della media nazionale, e sono comuni delle cosiddette “zone rosse” o comunque con una grande tradizione di lavoro operaio nel settore manifatturiero; dall’altro lato del quadrante troviamo, in alto, i comuni “cosmopoliti”, in cui rientrano tutti i maggiori centri urbani del Paese e dove si è registrata un’alta affluenza e un’alta percentuale di Sì ai voti sul quesito della cittadinanza (e di questo quadrante fa parte anche il comune di Vicenza); infine, ci sono i comuni dell’Italia “mediterranea”, dove troviamo pochi comuni medio-grandi, quasi tutti del Sud, in particolare in Sicilia e Sardegna, dove si è votato poco ma con una scarsa preferenza dei quesiti sul lavoro rispetto a quello della cittadinanza.

Le “4 Italie” nella classificazione di Youtrend (fonte: elaborazione Youtrend su dati Ministero dell’Interno)
Le “4 Italie” nella classificazione di Youtrend (fonte: elaborazione Youtrend su dati Ministero dell’Interno)

Insomma, se il referendum dell’8 e 9 giugno non ha avuto alcun effetto concreto sul piano legislativo, e ben pochi effetti “politici” (visto che l’annunciato “avviso di sfratto” al Governo paventato dalle opposizioni non si è manifestato), esso ha avuto quantomeno il risultato di fornire agli analisti politici e ai sociologi numerosi elementi e spunti di riflessione, tutt’altro che scontati, sull’orientamento degli italiani, sulle loro priorità e anche sulla geografia politica del nostro paese.