Occupazione e sicurezza sul lavoro, numeri drammatici

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I dati ISTAT sull’occupazione in Italia, riferiti a giugno 2018, ci mostrano come, questa, sia peggiorata rispetto al mese precedente. La disoccupazione, infatti, è cresciuta di 60 mila unità, l’occupazione è diminuita di 49 mila unità. I lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato sono scesi di 56 unità, quelli con contratto a termine, invece, sono cresciuti di 16 mila unità. I lavoratori indipendenti sono in calo di 10 mila unità.

Queste variazioni di pochi decimi di punto, sono comunque inferiori all’errore statistico dovuto al fatto che quelle dell’ISTAT sono stime e non valori certificati e inconfutabili. Quello che deve preoccupare è che, in pratica, c’è un andamento assolutamente piatto che continua da svariati mesi.

Basta pensare che nel giugno dell’anno scorso i disoccupati erano circa 2.874.000 e in giugno di quest’anno sono stimati in circa 2.866.000, per rendersi conto che nulla è cambiato. Per gli occupati, certamente, la crescita è più consistente (da 22.990.000 a 23.320.000), ma è una crescita ?apparente? più di quantità che di qualità. Perché la crescita è dovuta esclusivamente all’aumento dei contratti a termine (da 2.711.000 a 3.105.000), mentre i contratti a tempo indeterminato sono in calo (da 14.966.000 a 14.883.000). è una crescita ?apparente? perché il lavoro stabile, sicuro, continuativo sta diventando sempre di più una flebile speranza. Sempre di più si vedono giovani (e meno giovani) costretti ad aprire partite iva per poter accedere a lavori retribuiti con poche centinaia di euro ?tutto compreso?. E lavori pagati in nero (o in grigio, quando va bene). Uno sfruttamento che dilaga e diventa una forma ?normale? di rapporto di lavoro.

In un anno, di fatto, le modifiche delle stime ISTAT non possono essere ritenute apprezzabili. Questo dimostra come, dal punto di vista occupazionale, la crescita sia inesistente. Se esiste è dovuta esclusivamente alla fascia più anziana dei lavoratori (gli occupati ultracinquantenni passano dai circa 8.093.000 del giugno 2017 ai circa 8.448.000 del giugno 2018). E come la disoccupazione sia stabilmente alta (molto più alta di quella media europea) e praticamente invariata in un anno (era, nel 2017, pari all’11.1%, nel 2018 è del 10,95% ? poco più di un decimo di punto in meno, praticamente ininfluente).

Un lavoro sempre più precario, un’occupazione stagnante che non può garantire nessuna speranza per chi vive del proprio lavoro. Uno sfruttamento diffusi che impongono ritmi di lavoro e che fanno accettare ricatti, diminuzione di diritti e di sicurezza altrimenti inaccettabili.

Ed è proprio sul fronte della sicurezza nel lavoro che le cose cambiano e diventano drammatiche. Ci si riferisce a dati certi, ricavati dalle notizie dei giornali, certificabili in qualsiasi momento. Un lavoro che l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro segue in maniera costante. Così, a dispetto dei dati diffusi dall’INAIL (che conteggia solo i suoi assicurati) che ci ?narrano? di un calo, seppur lieve, dei morti sul lavoro, la realtà è ben diversa. Al 31 luglio 2018, le lavoratrici e i lavoratori morti nei luoghi di lavoro (senza considerare quelli in itinere e nelle strade) sono 426. Dieci anni fa furono 358 (l’aumento è del 19%), l’anno scorso erano 398 (l’aumento è del 7%).

Numeri drammatici che fotografano una realtà che dovrebbe risultare inaccettabile. Numeri dietro i quali si nascondono persone che sono andate a lavorare e non sono tornate a casa. Numeri talmente alti che è impossibile pensare siano frutto del ?caso? o della disattenzione delle vittime. Numeri che dimostrano una preoccupante mancanza di diritti e di giustizia in una società sempre più attenta al profitto di pochi. Una società che produce governi inetti che fanno della propaganda il loro obiettivo. Costi quel che costi. Governi formati da politicanti che alimentano l’odio e la paura verso lo ?straniero? che ?ci ruba il lavoro?. Che promettono di interessarsi di chi vive del proprio lavoro e che, subito, si girano dall’altra parte e, con il cappello in mano, si inchinano di fronte a ?lorpadroni?.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.