Odio di classe e quei 392 decessi per amianto: la storia di Stephan Schmidheiny

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amianto
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Circa un mese fa Stephan Schmidheiny, ha rilasciato un’intervista al giornale svizzero Nzz am Sonntag. Ma chi è Schmidheiny e perché sono significative le sue dichiarazioni? La risposta deve essere precisa. Schmidheiny è un ricchissimo svizzero, ultimo padrone dell’Eternit, che viene definito, dal giornale che pubblica l’intervista, “imprenditore, ambientalista e filantropo”.

Ebbene, Schmidheiny è un padrone, di quelli che non si fermano di fronte a nulla pur di fare soldi. È stato condannato in appello a 18 anni per i morti che il “suo” amianto, quello sul quale ha fondato la propria ricchezza, ha provocato tra lavoratori e cittadini. Condanna che è stata annullata per avvenuta prescrizione (e questo dovrebbe dirla lunga su come “lorsignori” utilizzano la giustizia per essere “assolti” … leggi “restare impuniti”). Oggi il tribunale di Vercelli deve decidere se rinviarlo a giudizio per altri 392 decessi. Nell’intervista Schmidheiny si lascia andare a invettive contro l’Italia e al piagnisteo proprio dei padroni su come è stato trattato.

Leggiamo alcune sue affermazioni così come riportate da vari giornali:

Quando oggi penso all’Italia provo solo compassione per tutte le persone buone e oneste che sono costrette a vivere in questo Stato fallito“. “Non ho intenzione di vedere una prigione italiana dall’interno”. “Abbiamo fatto tutto il possibile e quanto era ragionevolmente esigibile secondo lo stato delle conoscenze di allora per risolvere il problema dell’amianto. Ma 40 anni dopo si viene accusati di omicidi di massa e perseguitati per decenni“.“All’inizio pensavamo che si trattasse di diritto, di fatti, di giustizia, ma nel corso del tempo questa convinzione è evaporata. Ciò mi è pesato molto e per molto tempo. Ma poi ho capito che mi sarei dovuto occupare della mia salute mentale per difendermi da tutti questi incredibili attacchi. Mi sono reso conto di provare un odio per gli italiani e di essere l’unico a soffrire di questo odio”. “Vorrei passare alla storia come qualcuno che ha pensato in anticipo, che si tratti del problema dell’amianto, dell’ambiente, del clima. Sono sempre stato un po’ più veloce degli altri“.

Frasi che definiscono il personaggio. Nessuna parola per le vittime. Le sue sono parole che dimostrano come il pensiero di un sedicente “ambientalista e filantropo” ma ricco imprenditore sia sempre lo stesso: noi padroni non siamo colpevoli di nulla, anzi, siamo benefattori … in definitiva facciamo tutto il possibile … per cui non possiamo essere giudicati … io, poi, sono perseguitato da decenni.

Omette di dire che la pericolosità dell’amianto era ben nota da molto tempo prima dei quarant’anni ai quali si riferisce. E si dimentica di dire che che è stato condannato (e poi prescritto, non assolto) non per la persecuzione di magistrati di uno Stato fallito, ma per i reati per i quali è stato giudicato colpevole.

Quello che, l’imprenditore svizzero, dimostra verso gli italiani è un odio dei ricchi verso il popolo. È supponenza, un odio aristocratico … non ce l’ha con tutti gli italiani. Anzi alcuni gli fanno pena. Con loro è “benevolo”. Ce l’ha con i lavoratori, con i magistrati che fanno il loro dovere, con quelli che considera “inferiori” e che hanno l’ardire di mettere in discussione lui e il suo operato. E che, non sia mai, pretendono giustizia.

Proviamo a ragionare. Abbiamo forse bisogno di questi “filantropi”? E quanti soldi ha guadagnato questo personaggio lucrando sulla pelle di persone che manipolavano e respiravano il “suo amianto”? E gli extracomunitari veramente pericolosi per l’Italia sono i profughi o i clandestini o questi imprenditori arroganti e supponenti che vengono spesso riveriti e che sono sempre intoccabili (perché ricchi e padroni)?

Odiare padroni come Stephan Schmidheiny non è solo un diritto, è un dovere.

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Giorgio Langella
Giorgio Langella è nato il 12 dicembre 1954 a Vicenza. Figlio e nipote di partigiani, ha vissuto l'infanzia tra Cosenza, Catanzaro e Trieste. Nel 1968 il padre Antonio, funzionario di banca, fu trasferito a Lima e lì trascorse l'adolescenza con la famiglia. Nell'ottobre del 1968 un colpo di stato instaurò un governo militare, rivoluzionario e progressista presieduto dal generale Juan Velasco Alvarado. La nazionalizzazione dei pozzi petroliferi (che erano sfruttati da aziende nordamericane), la legge di riforma agraria, la legge di riforma dell'industria, così come il devastante terremoto del maggio 1970, furono tappe fondamentali nella sua formazione umana, ideale e politica. Tornato in Italia, a Padova negli anni della contestazione si iscrisse alla sezione Portello del PCI seguendo una logica evoluzione delle proprie convinzioni ideali. È stato eletto nel consiglio provinciale di Vicenza nel 2002 con la lista del PdCI. È laureato in ingegneria elettronica e lavora nel settore informatico. Sposato e padre di due figlie oggi vive a Creazzo (Vicenza). Ha scritto per Vicenza Papers, la collana di VicenzaPiù, "Marlane Marzotto. Un silenzio soffocante" e ha curato "Quirino Traforti. Il partigiano dei lavoratori". Ha mantenuto i suoi ideali e la passione politica ed è ancora "ostinatamente e coerentemente un militante del PCI" di cui è segretario regionale del Veneto oltre che una cultore della musica e del bello.