ONG, una voce fuori dal coro: tanti gridano “accoglienza” e non fanno una mazza

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ONG, la nave Ocean Viking
ONG, la nave Ocean Viking

Sono basita di fronte a questa umanità esternata dalle e alle ONG. Credo di avere una buona esperienza riguardo a rifugiati politici, senza collaborare con le ONG, indubbiamente più profonda di quella di tanti che, gridano “accoglienza” e non fanno una mazza, salvo spalancare la bocca! Le ONG sono finanziate anche dall’Europa: siano i presunti profughi distribuiti in tutta Europa se non ci sono le condizioni per il rimpatrio.

Accoglienza, concordo, ma cominciate con il dimostrare la vostra solidarietà accogliendo un profugo e, se non avete spazio logistico o più democraticamente non volete, lasciatelo alle cooperative, ma prendetevi umana cura di lui. Con i vostri soldini comprategli qualcosa che la cooperativa non gli compra, portatelo a mangiare una pizza, a visitare una città. Solo così potete arrogarvi del diritto di promozione dell’accoglienza.

Rimane il fatto che non si sa mai chi sono i profughi e che a volte mentono. Adoro il lavoro dietro le quinte, l’organizzazione e la manovalanza, la detenzione di segreti inconfessabili fino alla prescrizione, quello che nessuno vede ma che gratifica profondamente, quello che, come unico riconoscimento ti riempie di ricchezza interiore e svuota il tuo portafoglio personale.

Bisogna essere pronti a prendere coscienza che con il bello e la positività arriva anche la negatività perché ci si prende cura di emeriti sconosciuti e su questo va benissimo la linea dura del Ministro Matteo Piantedosi. Nel contempo andrebbero, però, intensificati i corridoi umanitari legali.

Ministro Matteo Piantedosi e l'Ocean Viking della ONG Sos Méditerranée
Ministro Matteo Piantedosi e l’Ocean Viking della ONG Sos Méditerranée

Lo scorso anno  ho passato qualche giorno con un profugo, rifugiato politico (che non seguo io, ma una mia amica, fuori regione), i suoi figli, sua moglie. Ho capito subito che quell’uomo mentiva (su questo, con l’esperienza sono diventata brava)… Infatti, in Italia è arrivato  solo con una moglie, ma altre mogli e altri figli sono rimasti nel paese d’origine e almeno uno dei figli qui presente non è il figlio della moglie profuga (come risulta), ma di un’altra.

Spesso lo stato di famiglia è molto spartano e, dovessi ricomporre questa famiglia, dovrei portare in Italia, non so quante persone e, questo riguarda solo la famiglia stretta. È un rischio di quando aiuti, senza sapere chi aiuti.

Con i profughi che arrivano da paesi dove esiste la poligamia il problema è molto serio. Iniziano il viaggio in Europa con una sola moglie, ma con il tempo porteranno anche l’altra parte della famiglia e nessuno sa quanto sia grande la famiglia. Ora, parte dei suoi famigliari e di altri dello stesso gruppo sono in Pakistan, Turkmenistan, Tajikistan e Iran pronti a partire con il primo viaggio per l’Europa.

Ci sono paesi, uno di questi è l’Afghanistan, dove è possibile modificare lo stato familiare, bastano poche decine di dollari, sono già registrati con nomi uguali e fin dalla nascita con date errate. Talvolta il capofamiglia dichiara che è la “sorella, figlia, madre”, nella realtà è “seconda, terza, quarta moglie”.

In Italia, a differenza di tanti paesi islamici la bigamia e, di conseguenza, la poligamia costituiscono reato. Questo è l’esempio più semplice, che fa capire che in molti arrivano già perseguibili legalmente, ma nel traffico dei migranti ci sono anche terroristi, criminali e delinquenti comuni nonché persone per bene ma anche, e soprattutto, business.

Dietro ai migranti ci sono speculazioni, invisibili e visibili. Esempio: il nucleo familiare, due adulti e due studenti, che seguo io nel vicentino (qui una testimonianza dell’autrice su ViPiu.it «Afghani nel Vicentino, raid con Roberto Bruni (Ciano International): famiglia con bambini in Cas a Dueville su materassi lerci e intrisi di pulci»), riceve dalla cooperativa che lo gestisce 650-700  euro per il vitto e spese vive, un altro, residente nel padovano 1.000 euro. Seguiti da cooperative diverse, stessa composizione di nucleo, lavoravano nella stessa azienda, arrivati qua con la stessa organizzazione e quando cerco di trovare chiarimenti sulla differenza, non trovo risposte. Ergo, qualcosa che non va bene, che non quadra c’è.

Ora che i profughi sono in Italia è il sociale italiano che deve intervenire ma se cerchi una assistente sociale, vuoi che sia per chiedere un confronto per i profughi, per me stessa o per un cittadino qualsiasi, scopri che non ricevi risposte adeguate.

Chi richiede assistenza, sia italiano o straniero, deve avere risposte precise e confrontarsi con personale di esperienza consolidata e sensibilità che permetta a tutti i cittadini lo stesso trattamento, anche a quelli come me che sbattono la faccia su pesanti realtà. Se nel collettivo si applica solo il principio di disuguaglianza, si smetta di riempirsi la bocca con solidarietà, accoglienza, stato sociale e stupidaggini varie. E smettano i politici di avvicinarsi ai moli per contestare se, i primi incapaci di aiutare concretamente, sono proprio loro.

Quanto esposto è per esperienza diretta, non ho bisogno di avvicinarmi alle imbarcazioni delle ONG per capire che cosa succede, né tantomeno sono un politico che avverte la necessità di scoreggiare in pubblico.

Chissà se  Aboubakar Soumahoro (se è vero quanto qui scritto “La coop di famiglia di Soumahoro non paga i lavoratori: imbarazzo per il “deputato con gli stivali”) aiuterà moglie e suocera a sanare i debiti nei confronti dei lavoratori dipendenti della loro cooperativa…

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Paola Farina
Nata a Vicenza il 25 gennaio 1954, studentessa mediocre, le bastava un sette meno, anche meno in matematica, ragazza intelligente, ma poca voglia di studiare, dicevano i suoi professori. Smentisce categoricamente , studiava quello che voleva lei. Formazione turistica, poi una abilitazione all’esercizio della professione di hostess di nave, rimasta quasi inutilizzata, un primo imbarco tranquillo sulla Lauro, un secondo sulla Chandris Cruiser e il mal di mare. Agli stipendi alti ha sempre preferito l’autonomia, ha lavorato in aziende di abbigliamento, oreficeria, complemento d’arredo, editoria e pubbliche relazioni, ha girato il mondo. A trent’anni aveva già ricostruito la storia degli ebrei internati a Vicenza, ma dopo qualche articolo, decise di non pubblicare più. Non sempre molto amata, fa quello che vuole, molto diretta al punto di apparire antipatica. Dove c’è bisogno, dà una mano e raramente si tira indietro. E’ generosa, ma molto poco incline al perdono. Preferisce la regia alla partecipazione pubblica. Frequenta ambienti ebraici, dai riformisti agli ortodossi, dai conservative ai Lubavitch, riesce nonostante il suo carattere a mantenere rapporti equilibrati con tutti o quasi. Sembra impossibile, ma si adegua allo stile di vita altrui, in casa loro, ovviamente.